“Nel caso di specie, il presupposto era radicalmente mancante, in quanto il Titolo VIII del Tuel non consente il ricorso al Piano di riequilibro finanziario (Prfp) per nuovi disavanzi prodotti in pendenza di un’altra procedura straordinaria (di dissesto o di Piano di riequilibrio), né di assorbire in tutto, o in parte, lo squilibrio che è già oggetto di una procedura di dissesto”. È questo il punto cardine della sentenza con la quale le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno definito, il primo marzo scorso, non ammissibile il Piano di riequilibrio finanziario del Comune di Vibo Valentia in quanto mancavano i presupposti per il ricorso a tale procedura da parte dell’Ente locale.
Depositate le motivazioni della sentenza del primo marzo
Depositate le motivazioni della sentenza del primo marzo
Lo si evince dalle motivazioni di tale sentenza che sono state depositate nella giornata di ieri, a quasi tre mesi, quindi, dal pronunciamento. La Corte dei conti Sezioni riunite spiega chiaramente che il Comune,
una volta trascorsi cinque anni dalla dichiarazione dissesto, e constatato che non c’era possibilità di risanamento, avrebbe dovuto attivare la procedura di cui all’Art. 268 bis Enti locali, avvisando il ministero dell’Interno e poi, d’intesa tra questo e il sindaco, decretare la prosecuzione del dissesto.
Esistono le condizioni per lo scioglimento dell’Ente
Non solo. Le Sezioni riunite, senza mezzi termini, chiariscono anche che occorre verificare se sussistano le condizioni di scioglimento dell’Ente ai sensi all’art. 141, co. 1, lett. a) Tuel, atteso che sia il verificarsi di un nuovo squilibrio sul bilancio in bonis, ai sensi dell’art. 268 Tuel, sia un saldo del rendiconto di gestione in disavanzo sostanziale “gravemente negativo”, costituiscono certamente “gravi violazioni di legge”, ricordando che “i Consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge”.
Richiamo al ministero dell’Interno
Ma nella relazione ce n’è anche per il ministero dell’Interno che, invece di rendersi conto che andava avviata la procedura di cui all’art. 268 bis, ha invitato il Comune ad andare avanti con il Piano di riequilibro. In questo modo il Comune, da una parte ha messo nel Prfp (che riguarda solo i bilanci depurati dal dissesto) i debiti del dissesto, dall’altra ha contabilizzato un nuovo dissesto. “Risulta invece dagli atti – si legge infatti al punto 20.1 – che il predetto ministero, pur essendo a conoscenza della situazione di insufficienza della massa attiva e dell’avvenuta adozione di un Prfp, senza la prescritta autorizzazione e senza aver ascoltato la Commissione per la stabilità finanziaria degli Enti locali, ha proposto una “ridefinizione delle misure” previste nel Prfp da effettuare in sede di esecuzione”. Doppia illegittimità, dunque.
Chi paga il conto?
Uscendo dai tecnicismi c’è da chiedersi: su chi si riverberano le conseguenze? Addetti ai lavori e analisti non hanno dubbi: anzitutto sui creditori del Comune, perché in questo modo si è formata una “massa indistinta” (parole delle Sezioni riunite) che ha spostato sine die i tempi di pagamento. Inoltre, siccome non è possibile ricorrere a pignoramenti durante il dissesto né durante il predissesto (cioè la condizione in cui il Comune era fino alla sentenza) i bilanci si sono mantenuti su di una sorta di “prestito forzoso” a danno della comunità. E proprio la comunità vibonese, dunque tutti i cittadini, sono i secondi danneggiati perché il limite dei cinque anni serviva proprio a vietare che l’Amministrazione in carica scaricasse su quella successiva il dissesto, cosa che a Vibo è avvenuta per ben tre volte. Da qui tributi comunali al massimo e tasse alle stelle da oltre un decennio.
“Gravi violazioni di legge”: atti trasmessi alla Procura della Cdc
Ma c’è un ulteriore “colpo”, decisamente da Ko, che le Sezioni riunite assestano al Comune di Vibo. Tutti gli atti sono stati trasmessi alla Procura della Corte dei Conti competente. Lo si legge al punto 24, poco prima del dispositivo, dove testualmente vi è scritto: “il verificarsi della fattispecie di cui all’art. 268 Tuel, inoltre, obbliga l’autorità di controllo, a dare notizia di tale grave violazione di legge alle altre autorità giudiziarie competenti a colpire gli eventuali illeciti che tale condotta ha realizzato. Dopo l’abrogazione dei Coreco, infatti, questa competenza spetta soltanto alla Corte dei conti, quale organo dotato della giurisdizione di controllo. Si dispone, pertanto, la doverosa correlata trasmissione”.
Rischio sanzioni per gli amministratori fino a 20 indennità
In questo caso, l’illecito dovrebbe essere riferito alla fattispecie prevista dall’art. 30 della Legge 289 del 2002 (Finanziaria 2003) e riferita al caso in cui gli “enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”.
Cosa succede adesso?
La Corte dei conti, chiaramente, non lo spiega nella sentenza. Ma il ministero dell’Interno, a questo punto, dovrebbe certificare il nuovo dissesto, salvo lo scioglimento dell’Ente. Tuttavia è possibile anche un decreto ad hoc “Salva Vibo”. Ma tale decreto deve rispettare il principio di legalità, dunque trovare un appiglio nella legislazione generale. E qui entra in scena la politica che, come si sa, è l’arte del possibile. Anche se stavolta il compito che le viene richiesto è a dir poco arduo… (m. s.)
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