Era stato tutto studiato a tavolino per coprire l’uomo del clan Pesce di Rosarno e salvarlo dall’arresto. C’è stato chi ha organizzato e pianificato la su irreperibilità, Pasquale Alessandro Megna, oggi collaboratore di giustizia, il primogenito di Assunto Natale Megna, che lo ha nascosto in un casolare di campagna a Nicotera. E c’è stato chi ha favorito la sua irreperibilità: Pantaleone Perfidio, Francesco Perfidio, Giuseppe D’Angelo e Angelo Carrieri, aiutando il latitante Marcello Pesce ad eludere le attività investigative e a sottrarsi alla misura cautelare nell’operazione della Dda di Reggio, All Inside 2. Emergono ulteriori dettagli sul sostegno offerto da affiliati alla cosca Mancuso al latitante Pesce dal provvedimento che ha portato a 4 fermi e a 18 perquisiti per un totale di 48 indagati nell’ambito dell’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, Imperium, che punta a far luce sugli affari sporchi del clan di Limbadi sulle strutture turistiche, sugli appalti e le attività commerciali (LEGGI).
Le tracce eliminate
Le tracce eliminate
Pantaleone e Francesco Perfidio sono stati coloro che hanno trovato le telecamere nei pressi del casolare informando tempestivamente Pasquale Alessandro Megna, mentre Giuseppe D’Angelo insieme a Pasquale Alessandro Megna, si sono dati da fare per bonificare il casolare, dove contestualmente si stava tenendo un summit tra il capocosca Luigi Mancuso e Marcello Pesce. Hanno cancellato ogni traccia biologica riconducibile al latitante, mentre Angelo Carrieri, secondo la Dda, ha offerto la propria disponibilità a fare ingresso nell’abitazione di Megna, dove insieme a quest’ultimo, hanno depistato gli investigatori, scambiando i propri abiti con quelli del latitante, per consentire a Pesce di uscire indisturbato dall’immobile di contrada Fontanelle di Nicotera Marina e di allontanarsi dal luogo, prima dell’arrivo delle Forze dell’ordine, accompagnato al bivio della strada per San Ferdinando dallo stesso Pasquale Alessandro Megna, per essere prelevato dagli uomini di Gioia Tauro. Con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare le articolazioni di ndrangheta dei Mancuso e dei Pesce, rafforzando la storica alleanza tra le due consorterie (LEGGI).
“Hanno messo due potenti telecamere, due bestie”
Lo spessore criminale e la posizione rivestita da Assunto Megna all’interno della consorteria criminale sono ulteriormente confermati da un episodio, definito dalla Dda, di assoluta rilevanza investigativa e che trae spunto dal contenuto di una conversazione intrattenuta il 14 marzo 2018 tra Megna e Diego Mancuso, alias Mazzola, esponente di spicco della consorteria criminale, nel complesso residenziale Heaven, ubicato a Ricadi e Mancuso scontava la misura della sorveglianza speciale dell’obbligo di dimora in quel Comune. La conversazione verteva su diverse questioni, tra cui anche l’episodio relativo ad un tale Marcello, i due interlocutori commentavano le metodologie operative della polizia giudiziaria e della sua consueta modalità investigativa: l’utilizzo e l’installazione di microspie e telecamere nei posti più disparati. Megna, abbassando notevolmente la voce, citava la vicenda di “Marcello” (Pesce il latitante ndr) e del fatto che, per un nonnulla, la polizia giudiziaria non aveva appurato la presenza di tale Marcello “no, a tutte le parti le mettono!…è pieno!…è pieno…..a me lo sai per quanto non?…per Marcello!!!”. Megna aggiungeva che in questa occasione, a casa sua, la polizia giudiziaria avrebbe installato due potenti telecamere grazie alle quali riuscivano dal ciglio della strada a riprendere ogni movimento e avendo posizionato delle reti davanti l’abitazione, in un certo senso avrebbe ostacolato le attività di sorveglianza “ne avevano messa una là sopra … ci vedevano proprio…pure un euro vedevano da là sopra…da…è la strada di da sopra a … a casa mia!…ci hanno messo due bestie di cose tante!…meno male che avevamo una specie di rete davanti e non vedevano proprio…”.
“Impronte, dna, hanno fatto una cosa che nemmeno per gli omicidi fanno”
Successivamente la polizia giudiziaria avrebbe fatto una perquisizione locale finalizzata alla ricerca di qualche elemento biologico per arrivare a Marcello Pesce inviando i risultati raccolti prima a Reggio Calabria, poi a Roma e infine anche a Palermo “vennero…impronte, dna…capelli, hanno fatto una cosa che neppure per gli omicidi la fanno! e ancora, e ancora…hanno mandato le analisi prima a Reggio poi a Roma e da Roma li hanno mandati a Palermo adesso”. Megna riferiva a Diego Mancuso che queste operazioni erano state condotte per attestare la presenza in loco del latitante anche se con esito negativo “e gli sembra che trovino qualche coso di Marcello!…tipo un capello, una cosa… però non hanno trovato se possono dire se…”. Le preoccupazioni di Megna in riferimento alle attività investigative poste in essere dalla polizia giudiziaria e finalizzate alla ricerca di elementi comprovanti la presenza del latitante, sono palesemente esternate nel momento in cui riferiva che qualche sera dopo, sarebbe giunto anche Luni, Pantaleone Mancuso, alias l’Ingegnere, fratello di Diego “che una sera doveva venire Luni…lo sai che succedeva?…mancu li cani!…meno male…meno male…ce la facevano pagare la fagiola con il pepe!…(ce la facevano pagare cara ndr)”.
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