D’Ippolito (M5S): «Gravissimo errore mandare ai domiciliari il boss Iannazzo»

Giuseppe D'Ippolito del M5S commenta il servizio di LA7 sulla scarcerazione di Iannazzo

di Mario Meliadò  – Come già abbiamo scritto, domenica scorsa su La7 è andata in onda la proiezione sul piccolo schermo di una Calabria dipinta come imbelle e completamente soggiogata dallo strapotere delle ‘ndrine. Che risulterebbe talmente forte da determinare, a Lamezia Terme, una sorta d’autocensura e impedire, per via della solita barriera omertosa, persino di commentare liberamente un fatto di cronaca come, nel caso di specie, la scarcerazione del boss Vincenzino Iannazzo detto “ ‘U moretto”.

Noi abbiamo voluto parlarne con un deputato di Lamezia Terme: parlamentare del Movimento Cinquestelle Giuseppe D’Ippolito.

Noi abbiamo voluto parlarne con un deputato di Lamezia Terme: parlamentare del Movimento Cinquestelle Giuseppe D’Ippolito.

Onorevole D’Ippolito, ha visto la puntata di domenica sera di “Non è l’arena”?

«Sì, anche se non per intero. E debbo dire che ha proposto scenari non confortanti né edificanti».

È vero pure che la trasmissione di La7 ha raffigurato una Lamezia Terme, una Calabria succubi delle ‘ndrine e omertose. Condivide questa rappresentazione?

«C’è poco da obiettare, direi. Condivido: in Calabria esistono, purtroppo, larghissime fasce d’omertà e di dominio da parte della criminalità organizzata. E quanto a Lamezia, beh, è appena il caso di ricordare che stiamo parlando di un centro calabrese importantissimo dove lo strapotere dei clan malavitosi è ampiamente documentato e il Consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose per ben tre volte».

Lei peraltro ha subìto pesanti intimidazioni, quando era solo un candidato a uno scranno parlamentare per Cinquestelle…

«Certo, l’esperienza personale ha rafforzato in me quest’idea. Tuttavia, ripeto: è sufficiente essere minimamente informati per capire molto bene che in Calabria non sussiste una presenza criminale marginale o trascurabile ma, al contrario, un’amplissima fascia di territorio non-libero, controllato militarmente dalle ‘ndrine. E lì, pensare che un giornalista non si trovi di fronte interlocutori omertosi, nel chiedere un parere sulla scarcerazione di un boss come Vincenzino Iannazzo, è solo una pia illusione».

Appena saputo della scarcerazione di Iannazzo e di molti altri mafiosi “di peso”, lei e il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra in una nota congiunta avete espresso «preoccupazioni», ma anche l’auspicio che «nelle sedi competenti ci sia al più presto un ulteriore approfondimento». A torto o a ragione, oggi queste scarcerazioni vengono ricondotte politicamente al ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede. Lei è sempre dell’idea che scarcerare Iannazzo sia stato un grave errore?

«Assolutamente sì. In questo caso specifico, per la verità, non c’entra una decisione del Dipartimento amministrazione penitenziaria ma della Corte d’assise d’appello di Catanzaro. Ma il punto vero è che si poteva e si doveva evitare la scarcerazione di Iannazzo, anche perché questo boss si trovava recluso in Umbria, una delle regioni d’Italia a minor rischio-coronavirus. Inoltre, credo che non si sia tenuto conto della concreta possibilità di mantenere in carcere questo pericoloso boss potenziando l’assistenza sanitaria a suo beneficio, in considerazione del suo essere un trapiantato ultra65enne con un deficit immunitario, ma soprattutto che si sia completamente ignorata la portata sostanziale di un provvedimento del genere, al di là del dato formale».

…Spedire il “Moretto” per i domiciliari nella sua lussuosa residenza nel cuore del suo “feudo” lametino ha incarnato un messaggio devastante per la popolazione, sulla circostanza se a Lamezia Terme “comandi davvero” la ‘ndrangheta o lo Stato. Non trova?

«Assolutamente sì. Non l’ho deciso certo io, ma l’ultima cosa che bisognava fare era rispedire Iannazzo nella sua villa, a ostentare nuovamente un “potere reale” che non può e non deve assolutamente spettare alla criminalità organizzata, neppure in termini di mera percezione da parte dell’opinione pubblica, bensì allo Stato».

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