Dl Sicurezza, Regioni: diminuito livello protezione migranti

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Con il decreto immigrazione e sicurezza, varato ad ottobre 2018 dal governo e convertito in legge a dicembre, “e’ diminuito il livello di protezione” dei richiedenti asilo nel nostro Paese. E’ uno degli aspetti sottolineati dai legali delle cinque Regioni che hanno sollevato numerosi dubbi di costituzionalità sul testo. A cominciare proprio dall’articolo 1, quello che modifica alcune norme del Testo unico sull’immigrazione del 1998 sostituendo l’istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari con una pluralità di fattispecie tipizzate. “Per gli estensori del testo – ha spiegato Massimo Luciani (Umbria) – il livello di protezione resta immutato ma allora perché ricorrere a un decreto legge? L’Italia, dati Eurostat alla mano, ha già dei tassi di rigetto largamente superiori alla media europea. E la nuova protezione speciale non copre tutti i casi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Giandomenico Falcon (Emilia Romagna), che ha ricordato come la vecchia protezione umanitaria permettesse di adempiere meglio tutta una serie di obblighi costituzionali, sovranazionali e internazionali di tutela. Falcon ha puntato l’indice anche contro “la sostituzione della residenza con il domicilio” (articolo 13, quello sulla non iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo). Si tratta, ha detto, di “uno stravolgimento di categorie giuridiche di base”, premessa nei fatti di “una sorta di espulsione giuridica”: il superamento del vecchio Sprar rischia di creare quello che “qualcuno ha chiamato un esercito di fantasmi”. Stefano Grassi (Marche) ha insistito sulla “non urgenza di un intervento teso a disciplinare non una situazione d’emergenza ma un fenomeno, quello migratorio ormai in calo, come confermano gli stessi dati del Viminale”. Per Marcello Cecchetti (Toscana) lo Stato con questo decreto “ha violato parametri costituzionali, imponendo alle Regioni limiti ed obblighi”. “La concessione dell’asilo – ha ricordato Vincenzi Cannizzaro (Calabria) – è disciplinata dalla Convenzione di Ginevra, come ribadito anche da una recente sentenza della Corte di Giustizia europea: non esiste distinzione tra richiedente e rifugiato”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Giandomenico Falcon (Emilia Romagna), che ha ricordato come la vecchia protezione umanitaria permettesse di adempiere meglio tutta una serie di obblighi costituzionali, sovranazionali e internazionali di tutela. Falcon ha puntato l’indice anche contro “la sostituzione della residenza con il domicilio” (articolo 13, quello sulla non iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo). Si tratta, ha detto, di “uno stravolgimento di categorie giuridiche di base”, premessa nei fatti di “una sorta di espulsione giuridica”: il superamento del vecchio Sprar rischia di creare quello che “qualcuno ha chiamato un esercito di fantasmi”. Stefano Grassi (Marche) ha insistito sulla “non urgenza di un intervento teso a disciplinare non una situazione d’emergenza ma un fenomeno, quello migratorio ormai in calo, come confermano gli stessi dati del Viminale”. Per Marcello Cecchetti (Toscana) lo Stato con questo decreto “ha violato parametri costituzionali, imponendo alle Regioni limiti ed obblighi”. “La concessione dell’asilo – ha ricordato Vincenzi Cannizzaro (Calabria) – è disciplinata dalla Convenzione di Ginevra, come ribadito anche da una recente sentenza della Corte di Giustizia europea: non esiste distinzione tra richiedente e rifugiato”.

Altro punto del dl Sicurezza che la Corte è chiamata a esaminare è l’articolo 13 (comma 1) sull’iscrizione anagrafica: le Regioni ricorrenti denunciano la previsione secondo la quale il permesso di soggiorno per la richiesta di asilo viene ritenuto “documento di riconoscimento”, ma non “titolo” per l’iscrizione anagrafica. Ne deriverebbe – affermano – la preclusione dell’accesso ai servizi erogati da Regioni ed enti locali per i quali la residenza costituisce un presupposto per l’accesso. Altro articolo censurato è il 21, contenuto nella seconda parte del decreto legge, dedicato alla sicurezza pubblica – impugnato dalle Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Calabria e Piemonte – che estende ai presidi sanitari l’ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane (il cosiddetto ‘Daspo urbano’): tale misura, si sostiene nei ricorsi, sarebbe sproporzionata e potrebbe incidere sul diritto alla salute, oltre a violare le competenze regionali in materia di organizzazione dei servizi sanitari e in materia di tutela della salute. In tutti i ricorsi, infine, si sostiene la violazione del riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni.

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