di Mimmo Famularo – Il lupo cambia il pelo ma non perde il vizio. Nel caso di don Felice La Rosa non è bastata una condanna in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per prostituzione minorile e corruzione di minore. L’ex sacerdote di Zungri, 45 anni, un passato travagliato alle spalle tra aule di tribunale e carcere, è caduto nuovamente nel peccato. Nella mattina di ieri, 9 settembre 2020, i poliziotti della Squadra Mobile di Vibo Valentia hanno bussato ancora alla porta della sua abitazione, a Calimera, frazione di San Calogero, piccolo borgo ai confini tra la provincia di Vibo e di Reggio Calabria. Su delega dei colleghi del Commissariato di Gioia Tauro gli è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per una nuova inchiesta che lo vede protagonista.
Il deja-vu di don Felice
Il deja-vu di don Felice
Ha rivissuto un deja-vu il prete vibonese sospeso da tempo da tutte le funzioni. Come avvenuto già nel novembre del 2016 gli vengono contestate accuse pesanti ma non inedite: atti sessuali con minori stranieri in cambio di denaro. Avrebbe offerto soldi a un ragazzo bulgaro di appena 17 anni come corrispettivo di una prestazione sessuale. In particolare per praticare un rapporto orale. In tempi diversi avrebbe poi tentato di fare la stessa cosa con altri due adolescenti, uno di 17 anni e uno di 16, anche loro bulgari. Un evento non verificatosi perché i due minorenni si sono rifiutati di fare sesso. Una storia di abusi terribilmente simile a quella di quattro anni fa quando l’ex parroco era finito in carcere nell’ambito di un’altra inchiesta, questa condotta direttamente dalla Squadra Mobile di Vibo. In codice era stata definita “Settimo cerchio” , un chiaro richiamo all’Inferno di Dante Alighieri per fare luce su un giro di prostituzione con epicentro tra Zungri, Briatico, Mileto e Vibo Valentia. Prestazioni sessuali in cambio di cinquanta euro l’accusa mossa poi trasformatasi in una condanna definitiva.
Da Vibo a San Ferdinando: le nuove accuse
Quattro anni dopo, La Rosa finisce in un altro girone infernale. Niente carcere per il momento, ma custodia cautelare ai domiciliari nella sua casa di Calimera da dove non potrà muoversi e dovrà rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria. Così ha deciso il gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta del procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri, a seguito di indagini coordinate dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e dal sostituto procuratore Marco Lojodice al culmine di un’attività investigativa condotta dal Commissariato di Polizia di Gioia Tauro. Tutto nasce da un controllo su strada avvenuto nel febbraio del 2019, pochi mesi prima dell’ultimo ordine di carcerazione disposto nei suoi confronti per scontare il residuo di pena rimasto. I poliziotti lo incrociano sulla strada provinciale 50 tra San Ferdinando e Rosarno mentre il prete è alla guida di un’Alfa Romeo. A bordo con lui ci sono tre ragazzi di nazionalità bulgara. L’atteggiamento ritenuto incerto, confuso e impaurito di don Felice insospettisce gli agenti che approfondiscono i controlli. Lui riferisce di essere un sacerdote al momento non praticante in quanto in attesa di giudizio per il reato di prostituzione minorile. Più di qualcosa non torna e così gli investigatori decidono di sentire a sommarie informazioni i tre giovani. Le testimonianze lo incastrano e l’ex parroco finisce ancora nei guai per il “solito” vizio.
L’interrogatorio di garanzia
Difeso dagli avvocati Guido Contestabile e Pietro Antonio Corsaro comparirà nelle prossime ore davanti al gip del Tribunale di Vibo Valentia per l’interrogatorio di garanzia nel quale potrà fornire la sua versione dei fatti e cercare di respingere le nuove accuse che come la spada di Damocle pendono sulla sua testa.