di Nico De Luca –
Se il grado di civiltà di un popolo si misura con le condizioni di ospedali, cimiteri e carceri la media dell’Italia è molto, molto attardata. Ancora di più in Calabria dove la sanità è la voragine della spesa pubblica e la ndrangheta è regina dell’antistato.
Se il grado di civiltà di un popolo si misura con le condizioni di ospedali, cimiteri e carceri la media dell’Italia è molto, molto attardata. Ancora di più in Calabria dove la sanità è la voragine della spesa pubblica e la ndrangheta è regina dell’antistato.
La Giustizia italiana di recente è stata investita dalle pronunce della CEDU, Corte europea dei diritti umani in prima istanza e da una sezione di appello (la Grande Camera) della stessa corte di Strasburgo che, avallata dalla Chiesa e da tante associazioni umanitarie, ha dichiarato incostituzionale la pena italiana del cosiddetto ergastolo ostativo.
Si tratta di una figura, diversa dall’ergastolo semplice, che sottrae il condannato per reati ovviamente molto gravi ai premi riservati a chi, dopo almeno 26 anni di galera, dimostri una condotta modello e caso per caso sia valutato ormai lontano dalle logiche mafiose ed ammesso a permessi graduali.
Una situazione complessa che secondo alcuni compromette l’intero impianto antimafia costruito con fatica dalla magistratura dopo le morti di Falcone e Borsellino; secondo altri consente di attribuire una speranza di redenzione evitando condizioni di detenzione disumane.
Come la pensano i diretti interessati? Calabria7 ha sentito varie figure tutte direttamente coinvolte: direttori di istituto penitenziario, avvocati penalisti, segretari di sindacati delle guardie penitenziarie, giornalisti di giudiziaria e familiari di vittime di mafia.
Sulla sentenza di Strasburgo che obbliga l’Italia a rivedere l’istituto dell’ergastolo ostativo nei giorni scorsi a margine di un convegno proprio sul tema si è già espresso con una certa rassegnazione il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri.
Redazione Calabria7