ESIMI ED ESIMIE | Emilio Colombo, lo statista lucano e le sue solide radici in Calabria

emilio colombo

di Vincenzo Speziali – C’è poco da dire e ancor meno lo sanno, ma pure Emilio Colombo – lo statista presuntamente lucano – in realtà è un po’ calabrese, precisamente di Reggio. Il presidente, da non confondersi con l’odierno Roberto Occhiuto – che però ha un qualcosa che mi ricorda il protagonista di oggi, ma non so cosa… poi fate voi, interpretando variabilmente – dicevo il presidente (così veniva appellato dal 1970, essendo stato in quell’anno nominato capo del governo o premier, come si dice, impropriamente, oggi), aveva le sue solide radici in riva allo Stretto.

Tal punto, a onor del vero, lo ribadiva spesso, quasi fosse un vezzo, in luogo al fatto di troncare le discussioni, quando qualcuno incedeva ed eccedeva, nella logorrea, irritandolo, così facendo, ovvero sproloquiando oltremodo e più del consentito. La frase tipica, in questi frangenti era unica e sola: “Troppe parole. Mio padre era reggino e non si dilungava molto”. Difatti, in Basilicata si dovette trasferire Angelo, ovvero il genitore, lasciando, a sua volta, molti parenti nella città del ‘più bel chilometro d’Italia’ – per dirla alla D’Annunzio e non alla Cannizzaro – però Emilio, da quando nacque l’11 aprile del 1920, fu ‘potentino’ per tutti, ed intendo ciò, a causa dello strillo che emesse, immediatamente dopo il parto.

Tal punto, a onor del vero, lo ribadiva spesso, quasi fosse un vezzo, in luogo al fatto di troncare le discussioni, quando qualcuno incedeva ed eccedeva, nella logorrea, irritandolo, così facendo, ovvero sproloquiando oltremodo e più del consentito. La frase tipica, in questi frangenti era unica e sola: “Troppe parole. Mio padre era reggino e non si dilungava molto”. Difatti, in Basilicata si dovette trasferire Angelo, ovvero il genitore, lasciando, a sua volta, molti parenti nella città del ‘più bel chilometro d’Italia’ – per dirla alla D’Annunzio e non alla Cannizzaro – però Emilio, da quando nacque l’11 aprile del 1920, fu ‘potentino’ per tutti, ed intendo ciò, a causa dello strillo che emesse, immediatamente dopo il parto.

Il viaggio a Madrid

Fu lui, a raccontarmelo, durante un viaggio a Madrid – nel novembre del 1995 e in occasione di un congresso del PPE – quando mi riprese bonariamente, a mo’ di scherzo, così come faceva spesso, nelle pause ufficiali dei lavori o degli incontri politici, dicendomi che parlavo ad alta voce, assieme a Marilina Intrieri.

Io – che non perdo mai lo spunto per una battuta – gli faccio di rimando: “Forse hai ragione, ma tu parli sempre soffuso come un vescovo”. Lui, il quale da par suo non era da meno per ironia, risponde di getto e, con il proprio notorio autocompiacimento, mi rifila: “Guaglioncì, guarda che le funzioni di vescovo, seppur laicamente, le ho esercitare nella DC e in politica…”. Non gli diedi il tempo di terminare, perché, forte di un rapporto personale derivatomi dal padre di mia madre, gli feci, al fulmicotone la mia chiosa: “Hai ragione, tu facevi il vescovo e Giulio (Andreotti) il cardinale”.

Quando Emilio mi apostrofò con l’epiteto ‘Forlandrotti’

Dario Antoniozzi, che era con lui, si mise a ridere, a ridere di gusto e crepapelle, però, anche Emilio apprezzò la battuta e mi apostrofò con l’epiteto ‘forlandrotti’, ovvero la crasi tra Forlani e Andreotti, perché entrambi avevano uno stile ‘battutaro’, sebbene quello del ‘Divo’ fosse più conosciuto. Certo, Emilio aveva un grande affetto per mio nonno materno (infatti me lo confessò, quando lo conobbi, nel settembre del 1986, durante la cerimonia del Premio Mezzogiorno, che, in quell’occasione, fu dato al mio omonimo e compianto zio paterno, ovvero Vincenzo Speziali sr.) tanto che Colombo si trovò più volte ad essere ospite della famiglia di mia madre, a Siderno, sia come amico personale sia nelle vesti di sottosegretario all’Agricoltura, mentre ricoprì il suo primo incarico di Governo.

Antonio Segni, vero leader della corrente Dorotea

Il ministro con quella delega, all’epoca, era il mitico Antonio Segni, altro caro amico e collega del mio nonno parlamentare oltreché democristiano e sempre Segni sr., non certo il ‘broccolo’ di Mariotto – quest’ultimo lo etichetto alla stregua dell’ortaggio, non perché parliamo di agricoltura – dicevo, Antonio Segni, successivamente, fu il vero leader della corrente Dorotea (quella in cui militò pure Colombo, per intenderci) ed infatti, poi, divenne ministro degli Esteri, presidente del Consiglio e Capo dello Stato. Emilio, invece, iniziò la carriera governativa nel 1950 a seguito dell’elezione all’Assemblea Costituente, per essere rieletto alla Camera, ininterrottamente, ben undici volte, ovvero fino al 1992 (fatale, famigerato, cruento ed ingiusto).

La nomina a senatore a vita e le legislature europee

Dal febbraio del 2003 rientra in un’assemblea parlamentare, cioè quella di Palazzo Madama, in luogo alla nomina di senatore a vita, senza contare le legislature europee (dove ricoprì dal 1977, il ruolo di presidente del Parlamento di Strasburgo, quando i deputati erano scelti tra i loro colleghi della Camera e del Senato), e le due elezioni dirette, che ebbe come parlamentare ‘continentale’, quando si votò a suffragio universale, nel 1979, cioè la prima (per l’appunto!) e poi la terza, ovvero dal 1989 al 1992, anno in cui si dimise per incompatibilità del ‘cumulo cariche’.

La carriera nel Governo

Cominciò, come precedentemente accennato, la sua carriera di membro del Governo italiano, nel 1950, esibendosi sottosegretario all’Agricoltura nel V, VI, VII e VIII De Gasperi, per continuare, nel medesimo incarico, con gli esecutivi Pella, Fanfani I e Scelba. Di lì, poi, divenne ministro dell’Agricoltura nei Governi Segni I e Zoli, mentre, successivamente, ricoprì gli ulteriori incarichi di ministro del Commercio con l’Estero nel Fanfani II, ministro dell’Industria – dove, notoriamente e proficuamente, si batté per migliorare e potenziare, lo sviluppo del comparto, in tutto il Mezzogiorno – con il Segni II, il Governo presieduto da Tambroni e con i Fanfani III° e IV°.

I moti reggini

Durante gli anni ’60 e fino a quando non divenne proprio lui presidente del Consiglio, lo si ritrova tra i Ministeri del Tesoro e quello del Bilancio, nei tre Governi Moro, nella trilogia di quelli Rumor e nel Leone I e II.
Dopo la parentesi di quasi due anni dell’esecutivo da lui guidato (Governo Colombo), durante i quali dovette affrontare pure i moti reggini ed aquilani per il capoluogo delle rispettive regioni – confessandomi la sua angoscia, personalissima ed affettiva, per le vicende in riva allo stretto (dove per mantenere l’ordine pubblico e le vestigia dello stato, non esitò ad inviare la forza pubblica e l’esercito) – dicevo a seguito di questa performance da premier, riprese gli incarichi ministeriali, nuovamente al Tesoro con l’Andreotti I e poi come Ministro senza portafoglio (delegato per l’ONU) nell’Andreotti II, quindi alle Finanze nel Rumor IV° e nuovamente al Tesoro nei Moro IV° e V°.

I due record

A questo punto, bisogna fermarsi un attimo e cristallizzare un aspetto, anzi confermare i due record, fino ad ora, imbattuti da chiunque, persino tra (noi) democristiani, anzi, detenuti, proprio e solo, dal nostro: 1) Emilio, è l’unico – dico l’unico e ripeto l’unico! – non solo tra i DC, ma tra tutti i politici di tutti i partiti (pur se quelli di oggi, non lo sono affatto, né partiti né politici), ad esser stato ininterrottamente, per ventisei anni di fila, in ogni governo (dall’avvento della Repubblica, fino ai nostri giorni), cioè dal 1950 al 1976; 2) è stato il solo presidente del Consiglio (o ex), ad avere raccolto oltre il 72% dei consensi, in una competizione elettorale – precisamente quella del 1972 – nella sua circoscrizione, rendendolo il più suffragato dell’Italia unita.

Entrambi questi primati – o anche uno solo di questi! – non li hanno ottenuti manco De Gasperi, Fanfani, Segni, Rumor, Andreotti, Cossiga, Forlani, De Mita, oppure Craxi e Spadolini (in riferimento ai laici) per non parlare di Berlusconi (il quale smercia falsità storiche a buon mercato, pure in capo a ciò e si attribuisce vittorie strabilianti, benché inesistenti, persino in tal campo, nemmeno fossimo ad una ‘cenetta elegante’ organizzata, non ovviamente da Tina Anselmi, bensì da Licia Ronzulli…e ho detto tutto!).

La sublimità inarrivabile di Moro

Persino Moro – già, Moro, sempre Moro, solo Moro, ovvero il migliore di qualsiasi epoca (quindi figuriamoci se non pure di quella che viviamo e che non ha politici di razza, bensì una strana o differente fauna!) – ripeto, pure Moro non ha potuto conseguire un risultato simile, ma ha compensato la tal cosa, con la sua sublimità inarrivabile, poiché rimane e rimarrà, eternamente, ineguagliabile e insuperabile, per tutti e chiunque!

Certo, Emilio – che fu, finanche, sindaco di Potenza, dal 1952 al 1954 – dopo il 1976, con la chiusura degli ultimi due esecutivi guidati dal ‘presidente martire’, restò con gli incarichi internazionali che ho precedentemente citato, cioè la Presidenza del Parlamento Europeo e poi, la Presidenza della Commissione Esteri di Strasburgo, dal 1979 all’80, poiché in quell’anno, riprese la sua presenza nei governi italiani fino al 1983 (ovvero Cossiga II, Forlani, Spadolini I e II, oltre che il Fanfani V°), sempre, quale ministro degli Esteri.

Dopodiché, lo ritroviamo, nuovamente, a capo del Ministero del Bilancio, nell’esecutivo di Giovanni Goria – 28 luglio 1988/13 aprile 1987- e alla guida di quello delle Finanze nel governo guidato da Ciriaco De Mita -13 aprile 1988 fino al luglio 1989 – restando, ovviamente, deputato, eletto nella circoscrizione Potenza/Matera, cioè la Basilicata natia, epperò di adozione familiare.

Una vita piena di successi

Parimenti ai suoi impegni istituzionali e parlamentari, in quel periodo, assunse la Presidenza dell’UEDC (Unione Europea Democratica Cristiana), cioè l’antesignana del PPE (Partito Popolare Europeo), fino al 1992, quando ritornò ministro alla Farnesina, con l’Amato I e, successivamente, dal 1993 al 1995, fu pure Presidente dell’Internazionale Democristiana. Come si vede, una vita piena di successi, che lo rende giustamente statista e lo fa entrare, a pieno titolo, non solo nel pantheon del nostro Paese, ma financo a livello mondiale, confermando che la persona aveva uno stile elegante (al pari di ogni democristiano), persino nell’abbigliamento, cioè il vezzo condiviso con quasi tutti i Leaders DC: noblesse oblige!

Una vicenda tutta personale

Sorvolo, non per codardia, circa una vicenda tutta sua personale, che lo sfiorò nel 2003, poiché sarebbe l’ennesima riprova di una potere prepotente – il quale diviene psicopatologicamente maligno! – rappresentato da certa magistratura italiana, spiattellando fatti privati e senza alcuna rilevanza giuridico penale, ma costoro che in parte – fate voi se piccola o grande – si ergono a guardiani (stile pasdaran iraniani) della pubblica morale, appartengono alla stessa categoria di Alberto Nobili e Ilda Boccassini, la cui figlia, parrebbe (?!) mai aver avuto nessun test etilico e tossicologico, in costanza di rilievi per un incidente stradale da quest’ultima cagionato (con annessa morte di un passante, persino sulle strisce pedonali).

Evidentemente, la prossima volta, chiederò al Padreterno, di farmi nascere da genitori di siffatta categoria, nel caso in cui decidessi di farla franca a prescindere, sempre che la cosa fosse vera e al netto di come io non sia aduso a praticare abusi, a difendere soprusi o garantirmi impunità ‘contra legem’. È vero, non si può nascondere come Colombo rimase mortificato da ciò, epperò riprese la sua vita, fregandosene dei falsi moralismi (tutti italici!) o di una paccottigliosa seconda repubblica e dell’alba della terza, la quale riuscì a veder sorgere e si dimostrò peggio di quella che l’aveva preceduta: sempre più in basso, si scivola, come danzando sulla tolda del Titanic!

La ‘performance’ caratteriale ai funerali di Misasi

Poi, è anche vero – ma ciò lo rende, per lo meno ai miei occhi (e a quelli di molti altri), ancora più simpatico – quanto lui fosse sempre un po’ suscettibile, al punto da ricordare qualche sua ‘performance’ caratteriale, tipo quella che fece ai funerali del caro Riccardo Misasi – dove era seduto in prima fila, proprio per rendere omaggio all’esimio estinto, il quale era amico e fece il ministro, pure nel Governo Colombo – allorquando un ‘messo ufficiale’, gli si avvicinò, sussurrandogli nell’orecchio: “Presidente, mi scusi, ma sta entrando il Presidente Cossiga” – per inciso, altro amico di Riccardo e anche ex Capo dello Stato – “potrebbe farlo accomodare, essendo la prima fila, già occupata da tutti i parenti?”.

Emilio, alza il capo, lo (dis)degna con sguardo tra il meravigliato, lo strafottente e l’impazientito, per poi rispondergli con un sibilante, silenzioso eppur boatico: “…ma non ci penso nemmeno e…fili subito via!”.
A stento, io che ero in prossimità di Maurizio Misasi, trattenni le risa e Maurizio, con me, per l’inaspettato ‘sketch’, anche se ci trovavamo ai funerali del padre. Ad ogni buon fine, continuammo a parlare spesso, in questi anni, anche durante le visite in Italia di Amine Gemayel e lo stesso ex Presidente libanese (suo successore alla guida dell’Internazionale DC), ogni volta che finiva un briefing con lui o con Andreotti o con Cossiga, Forlani e De Mita, non è mai riuscito a capacitarsi, sino in fondo, di una tale mia commistione con questo pezzo di storia italiana.

Democristiano genetico

Fino a che furono proprio Arnaldo ed Emilio a spiegarglielo, una volta per tutte, durante un loro incontro nel gennaio 2009 (poco prima di andare dall’Ambasciatore Steve Eleck e dalla sua bellissima consorte, la Contessa Chiara Rivetti, carissimi amici, a cui sono legato da affetto sincero): “Presidente Gemayel, Vincenzo è un democristiano genetico” fa Arnaldo, mentre Emilio attacca di rimessa con la frase: “…e si accorgerà di persona, della caratterialità propriamente particolare, che meraviglia pure noi, poiché da suo nonno non ha preso niente!”. Al solito io ribatto, con una delle mie battute: “Emì, ho un ‘recupero proporzionale’ che mi deriva da mio padre, perciò un po’ di razionale spregiudicatezza non guasta, ma aggiusta”.

Arnaldo – come al solito, quando, apparentemente la faccio grossa – alza lo sguardo al cielo, per poi sorridere verso Emilio, il quale a sua volta lo ricambia e i due mi dicono, quasi all’unisono: “Ma non cambi mai?”, però il tutto in maniera compiaciuta e soddisfatta, talmente palese che lo stesso Amine comprende lo sprazzo di intesa, tutta interna corporis a noi dc, pure se ad essere lusingato di questa appartenenza e di tale confidenza ero e rimango, io per primo, ringraziando la sorte e Dio. Comunque! Sempre!

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