ESIMI ED ESIMIE | “La cena ‘All’Antica Pesa’ a Roma quando parlammo di Carmelo Pujia”

"Sento Carmelino sempre vicino, con qualche lacrima nel mio animo e una nostalgia struggente"
carmelo pujia

di Vincenzo Speziali – Osservo il telefono. Afferro la tastiera elettronica. Poi scorgo la rubrica e intravedo quel nome: Carmelo. Il numero è lì, nel mio cellulare, non l’ho cancellato (e poi, come potrei?) ma un sospiro mi fiacca il cuore, quasi fosse un tuffo nell’anima. “Carmelì” gli dico io, parlandogli nel mio intimo, come se fosse innanzi a me, materialmente (mentre lo è, certamente, in altro modo). “E mo’? Adesso che faccio?”.

Intanto, la brezza del mattino scivola nell’aria e il sole comincia a declinare i vari toni di giallo nel cielo, il quale scansiona le diverse ‘nuance’ del suo celeste. E penso a Carmelo, al suo incedere roboante, al suo modo di essere multiplo ed efficiente, poiché, in contemporanea, parlava al telefono, impostava una delibera, discuteva con l’interlocutore e correggeva l’eventuale errore di qualche collaboratore (per di più nella stanza a fianco): nell’affermare ciò, non rappresento una legenda, racconto la storia!

Intanto, la brezza del mattino scivola nell’aria e il sole comincia a declinare i vari toni di giallo nel cielo, il quale scansiona le diverse ‘nuance’ del suo celeste. E penso a Carmelo, al suo incedere roboante, al suo modo di essere multiplo ed efficiente, poiché, in contemporanea, parlava al telefono, impostava una delibera, discuteva con l’interlocutore e correggeva l’eventuale errore di qualche collaboratore (per di più nella stanza a fianco): nell’affermare ciò, non rappresento una legenda, racconto la storia!

“Vicenzì, moticatti e va ma lavura!”

Lui è qui, seduto difronte (sono sicuro che sia così e così mi piace immaginarlo!) con gli occhi blu fissi nei miei e il sorriso d’intesa, compiaciuto e astuto, nel mentre mi fa: “Vicenzì, moticatti e va ma lavura! La notte, mentre dormi, continua a pensare sempre. Come ho fatto io per una vita. Ora tocca a ttia!”. Già, sono queste le parole che mi disse, in una delle ultime occasioni in cui lo incontrai, da solo, nella sua casa, purtroppo senza più Donna Ida, che lo lasciò qualche mese prima e che lui raggiunse, poco tempo dopo, ricongiungendosi a lei – ovvero al suo unico amore – ma, soprattutto, con Toni, la cui morte prematura rappresentò il grande dolore.

“Le mie ascendenze ‘adreottiane'”

Ancora oggi – come sanno Nanà Veraldi, Pino Galati, Lillo Manti, Franco Petramala, Marcello Furriolo e Franco Cimino, nel mentre mi fanno notare che inizio all’alba la mia giornata – replico celiando che le mie ascendenze ‘andreottiane’ (ereditate da mio nonno!) hanno una compartecipazione in questa impostazione, per poi aggiungere che Carmelo sarebbe capace di venirmi in sogno e ricordarmi quanto mi aveva detto e, soprattutto, insegnato: “Vicenzì, moticatti e va ma lavura!”. Sì, Carmelo che mi manca e che al tempo stesso è presente, con il suo bagaglio di storia e la sua carica vitale; con la sua metodicità analitico organizzativa e la sua possenza politica.

Sarebbe ozioso ricordare le sue performance curriculari sin dalla prima, ovvero l’Opera Maternità e Infanzia, trasformata in un avamposto – per altro, da lui, ben amministrato – da dove si mosse alla ‘conquista’, meritatissima, delle cariche, successivamente conseguite, ovvero consigliere, assessore e presidente della Provincia, per poi giungere alla Regione come consigliere e potentissimo assessore all’Agricoltura, rifiutando sempre – pur essendovi più volte candidato dal partito – di presiedere la Giunta regionale (poiché confessò a Mario Tassone e al sottoscritto che il capo del governo locale era prigioniero di sottili mediazioni, quindi lui preferiva ‘guidare’ l’esecutivo politicamente e con l’autorevolezza che gli era propria).

Infine, spiccò il volo verso Montecitorio, nella veste di deputato e più volte sottosegretario, cioè al Tesoro con i Governi del caro Gianni Goria e dell’indimenticabile Ciriaco De Mita e al Mezzogiorno con l’ultimo Andreotti, il quale era il suo capocorrente nazionale.

La cena all”Antica Pesa’ di Roma

A tal proposito, a una cena ‘All’Antica Pesa’ a Roma, durante una visita ufficiale e di Stato di Amine Gemayel (ex presidente del Libano e attuale leader dell’Internazionale Democristiana), mi trovavo seduto proprio a fianco di Giulio Andreotti – il quale, per inciso, fu una delle poche volte nella sua vita, in cui ‘scombino’ il cerimoniale, verso il quale aveva una forma di ossequio laicamente sacrale – pur di impormi vicino a lui e facendo ‘scalare’ Enzo Scotti, a sua volta ex ministro degli Esteri. In quell’occasione, parlammo di Carmelo, poiché egli non poté esserci quella sera, benché da me invitato, ma all’ultimo ebbe un imprevisto sincero, di cui non intendo parlare, perché impatta nella sfera dei suoi affetti familiari.

La stima del ‘Divo’

Confesso quanto mi fece piacere sentire riconfermata la stima del ‘Divo’, nei confronti del nostro – e da par mio non è che anche il sottoscritto non concordasse, veritieramente, sul giusto valore per l’uomo – anche se (per ovvi motivi di opportuna delicatezza) dovetti quasi bisbigliare, perché al mio fianco avevo seduto Agazio Loiero, in quel momento Presidente della Calabria: i decibel, perciò, erano soffusi, ma entrarono, comunque, nel database ‘giuliesco’.

“Parlano di Pujia…”

A un certo punto, Emilio Colombo, che era allo stesso tavolo, sebbene seduto innanzi a noi – ‘incastrato’ tra Lorenzo Cesa e Peppino Gargani – ci chiese di cosa segretamente parlassimo il ‘Pontifex Julius’ ed io, quasi fossimo entrambi in atto di confessione tra curato e parrocchiano (vai a vedere poi, chi tra i due fosse l’uno e l’altro!) ed Enzo Scotti – non so come abbia potuto sentire (o forse, l’avrà immaginato?) – proruppe, svelando l’arcano: “…parlano di Pujia!”. Rispondo io: “Giusto… e così sia!”.

Il tavolo inizia a ridere, a ridere di gusto, con anche Agazio che si scioglie in un sorriso e in quel momento, Amine, sua moglie Joyce e mia moglie, non capiscono il perché, però sempre Amine si accosta all’orecchio di Joumana (la mia dolce metà) e, sarcasticamente, gli fa in arabo (così come poi mi diranno rientrati alla residenza): “È bello vedere Vincenzo, che scherza con i ‘suoi’ compagni di scuola”.

L’incontro con Forlani, De Mita e Cossiga

Il giorno dopo, quando incontriamo di buon mattino Arnaldo Forlani, Ciriaco De Mita e poi Francesco Cossiga, racconto a tutti e tre la battuta con orgoglio – sapete, la vanità esiste – e mentre Ciriaco e Francesco, pure loro, ridono, Arnaldo nell’abbozzare una risata, mista tra soddisfazione ed imbarazzo, mi fa: “… però, non ti posso mai lasciare da solo”.

La manomissione della composizione del comitato giovanile

Cionondimeno, in ogni modo, pur volendo un grande bene ad Agazio (ed ancora oggi, gliene voglio e ci vediamo), non è un mistero, per chicchessia, financo quanto fossi legatissimo a Carmelino, il quale aveva per me una simpatia e un affetto spiccato. Intendiamoci, alle volte, ‘trasgredivo’ le consegne, come quando con Pino Galati avevamo manomesso all’ultimo minuto utile la composizione di un comitato del giovanile e Carmelo ci chiamò a rapporto. Pinuccio e io eravamo innanzi a lui e benché fossimo smaliziati e sfrontati, Galati era un po’ teso, perciò mi guardava, quasi a dire “che facciamo?”.

Mentre Carmelo ci ‘ramanziava’ mi venne l’idea: “Carmelì, che colpa abbiamo noi due? È Tiriolo a non aver detto nulla” rifilando la responsabilità, inesistente, al povero ed incolpevole Albertino, tanto che, non solo Carmelo capì (era troppo intelligente e avvertiva come noi – Pino e io – fossimo più consoni al suo carattere e ‘modus praticandì), ma si mise a ridere divertito, lanciando per la prima volta l’anatema (affettuoso, da parte di Pujia) che ancora accompagna me e Galati, ovvero “attenti a quei due”!

“Tu ci sei e mi attenderai…”

Ecco, penso a ciò, in questi momenti, sentendo Carmelino sempre vicino, con qualche lacrima nel mio animo e una nostalgia struggente, la quale mi attanaglia, lasciandomi sia un sorriso sul viso, come un po’ di solitudine, ma solo un pochino. E poi, poi penso ad un’altra cosa, cioè a quanto gli dico sempre e sempre gli ripeto: laggiù, al di là di quel giardino, oltre il passato e il presente, il bene ed il male, tu ci sei e mi attenderai. Io (ma tra tantissimi anni), ci sarò. E ti riabbraccerò!

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