ESIMI ED ESIMIE | Vincenzo Speziali racconta se stesso

Dalle frequentazioni con 'i grandi della Repubblica' a quelle con i giornalisti
Vincenzo Speziali

di Vincenzo Speziali – E già – sapete? – la vanità esiste e comunque lo ammetto: sono vanitoso! Anzi, ad essere sincero sino in fondo, per ovvi motivi di legittima difesa o a fronte di replica ad insolenze, malversazioni e scorrettezze, anche se chi me le tenta di rifilare perde sempre, almeno una volta perdono -come è giusto che sia ed in virtù della mia fede cristiana – però, in seguito, se costoro (improvvidamente!) persistono, posso diventare peggio di Cesare Romiti, il quale ho conosciuto, assieme al figlio Maurizio.

Difatti, ‘Cesarone’, in una memorabile intervista a Mixer (nel 1985) con Giovanni Minoli, ammise testuale: “Dottor Minoli, io non sono cattivo. Sono molto, ma molto, ma molto, cattivo”!

Difatti, ‘Cesarone’, in una memorabile intervista a Mixer (nel 1985) con Giovanni Minoli, ammise testuale: “Dottor Minoli, io non sono cattivo. Sono molto, ma molto, ma molto, cattivo”!

Patti chiari, cerco di non esserlo, però alle volte – se qualche improbabile demente – mi insolentisce, reiteratamente – e dire come molti lo sanno che non dovrebbero farlo, verso chiunque, figuriamoci con me! – oppure, io dovessi essere tirato per i capelli (i quali, notoriamente, sono tutti folti, neri, veri e di mia esclusiva proprietà) o, anche o foss’anche il sottoscritto venisse insidiato e boicottato nelle opere di bene – le quali dispenso con purezza di cuore e totale disinteresse per un personale ritorno – le mie reazioni si conoscono: tutti e ciascuno possono avere certezza di come le medesime siano consone e legittime – cioè proporzionate ed inevitabili – rispetto ai canoni della mia pazienza, la quale è infinita, ma non eterna.

La mia libertà

È la mia libertà, la fortuna di non avere necessità di mettere assieme ‘il mezzodì e la mezzanotte’, ovvero il ‘pranzo con la cena’ (quindi ringrazio Dio, financo di una simile fortuna), però mi occupo della gente, dei suoi leciti bisogni, poiché mi rifaccio ad una frase (e al tempo stesso un insegnamento), di San Paolo VI° (amico di mio nonno e vero fondatore della mia Democrazia Cristiana): “sono esperto di umanità”!
Ciò significa fare politica, insomma amare il prossimo tuo come ci ha insegnato Nostro Signore, magari con l’ausilio – seppur parafrasato – della regola aurea di San Bernardo: “osservare molto, sopportare tutto, correggere gli errori uno alla volta, perché se Gesù ci ha giustamente indicato la via del perdono e ci ha aggiunto di porgere l’altra guancia, altrettanto, opportunamente, di guance da porgere, ne ha date solo due”.

Mica male, no? Intendiamoci, parliamo di me, in pratica di un riconosciuto ed osservante cattolico, pur se questo mio personale e profondo credo -convinto, autentico, sincero- viene quasi dileggiato, da una mediocrità diffusa, alla quale ci si deve, non solo adeguare, però financo inchinare, essendo, persino costoro, esseri umani.

Certamente, però, entro i limiti della sopportazione di noi mortali, che non siamo santi, ma potremmo essere papi, ma alla Rodrigo Borgia. Ora, al di là delle battute – e ne faccio tante, tantissime e notoriamente, sempre riuscite – mi rendo conto che alle volte, qualcuno dei destinatari di tali dardi si senta ferito, sebbene la tal cosa avviene (cioè le mie battute, simili a quelle di Giulio Andreotti, con il quale, sono anche cresciuto), poiché sono la lecita reazione a fronte di plurime provocazioni che ricevo, oppure diventano necessarie per le situazioni, assumendo, perciò, un efficace ausilio topico.

L’incontro con Scalfaro

Un esempio? Presto detto: Adolfo Salabè – noto costruttore fiduciario dell’allora SISDE e che ha sposato una cugina di mio padre- era presente quando incontrando Scalfaro, anche a me, disse: “Cavo” – proprio ‘cavo’ con la erre moscia, tipica del suo discorrere – ” ‘vragionavrè è facoltativo…”. Ed io che rispondo di getto: “Presidente, appunto…mi si dia delega!”.

Un altro guizzo di riferimento? Benissimo e voilà: durante le ultime elezioni comunali catanzaresi – dove con intelligenza mi sono venute in soccorso, le mie preparazioni, esperienza, cultura e praticità, non solo applicate alla politica (arte nella quale, modestamente, eccello e se per questo, non solo in politica) – dicevo durante le ultime elezioni, levando il così detto ‘coniglio dal cilindro’, sono riuscito a pilotare talmente bene le cose, da sapientemente utilizzare l’ego ipertrofico e smisurato -politicamente parlando – di, certamente, una brava persona, ma ‘guizzante’ anziché no!

Cosa avrei dovuto fare? In ballo c’era l’interesse supremo del bene municipale – inteso come concetto sturziano – e non si poteva rischiare di abbandonare al proprio destino la ‘Capitale della Calabria’, cioè la mia amata Catanzaro, la quale mi ha accolto, sin da piccolo, a me, figlio orgoglioso e coerente, di una Bovalino che amo, al pari di una madre.

Il ‘duello’ rusticano con Valerio Donato

In verità, ammetto di aver dovuto affrontare dei danni collaterali, poiché mi è molto dispiaciuto il ‘duello’ rusticano con un galantuomo qual è Valerio Donato, ma come chiunque si ritrovi in distonia con il sottoscritto, oppure quando sono io a non essere d’accordo, le cose le ho dette – e le dico – in faccia, proprio al diretto interessato. Insomma…essendo di Bovalino, confermo questo mio modo di essere e di fare, perché tutti noi di cola`, siamo gente strutturata, solida, coraggiosa, leale, vera, autentica e nel contrapporci lo dichiarano apertamente, senza infingimenti.

L’arte dell’intrigo

Poi, è pur vero che io sia persino e soprattutto un democristiano, quindi il prodotto sapiente di una siffatta sapienza, ragione per la quale, al netto di qualche naturale intoppo, so, perfettamente, praticare, l’arte dell’intrigo, ovviamente per motivi sani, alti e nobili. Un grande politico DC, ripeteva – e lo ribadiva anche a me, quando eravamo soli o in compagnia – “che per fare il bene, bisogna conoscere il male, proprio per stargli lontano, e ritorcerlo, contro chi ce lo indirizza”. Alla fine, con Valerio ho recuperato, ma ciò è stato possibile, poiché mi trovavo innanzi un uomo perbene e una persona intelligente.

Caro Fiorita, ora sta a te pedalare…

Così come mi è stato possibile mantenere la parola data ad un caro amico di infanzia e di famiglia, Nicola Fiorita, pur se sta a lui, adesso pedalare, perché la bicicletta è difficile da portare e le sue difficoltà, aumentano a dismisura (anche per la sua indolenza, che non mi ricorda quella efficace, che ha sempre avuto, mirabilmente, Arnaldo Forlani).La mia fortuna – ma pure e soprattutto, quella della città catanzarese- è che Nicola e un signore, uno onesto, insomma un finto Bamby e lo chiamo così non per mancanza di rispetto, anzi, bensì per un motivo semplice e banale, cioè quello che contraddistingue il suo carattere connaturato dai tratti gentili ed educati.

Un sistema di volgarissimi cooptati

Cionondimeno, qualcuno mi ridacchiava dietro, durante quelle settimane – ma si sa, il riso abbonda sulla bocca degli stolti! – in quanto non avendo argomenti seri da oppormi, se ne usciva con un finto classico, del tipo che io non sia un parlamentare. E menomale, perché mai, mai e poi mai, nella mia vita, potrei derogare o venire meno, a coerenza e autorevolezza, credibilità e conseguenzialità: come potrei criticare – stando nel giusto! – un sistema di volgarissimi cooptati, per vedersi nominati deputato o senatore e poi usufruire del medesimo mercimonio, quasi fossimo innanzi ad una simonia laica? Suvvia, ci vuole stile, giammai accattanoggio!

Sono la politica, non un politicante qualunque

Che difficoltà avrei avuto, nel disporre una sostanziosa ‘donazione’, alfine di vedermi riconosciuto il primo posto in una qualsiasi lista? Parliamoci chiaro, la tal cosa, non è più sana passione politica, bensì configura un ipotesi di reato piuttosto concreta, oltre che grave! Purtroppo, simili pratiche attitudinali, le ritroviamo spesso, spessissimo, nelle fasi di compilazione degli ‘eletti’, ma io sono la politica, non un politicante qualunque. Si, sono la politica e chicchessia, non si permetta a sorridere o farmi passare per arrogante, in quanto è la verità, solo la verità, nient’altro all’infuori di essa.

I grandi della Repubblica da me frequentati

Tra l’altro, i grandi della Repubblica, li ho conosciuti quasi tutti e li ho pure praticati e frequentati, in alcuni casi persino i loro figli e nipoti. Qualche esempio: Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Emilio Colombo, il mio Arnaldo Forlani, Ciriaco De Mita, Paolo Emilio Taviani, Franco Marini, Flaminio Piccoli, Totò Gava, Nicola Mancino, Gerardo Bianco. E poi, Massimo D’Alema, Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella, Lillo Mannino, Paolo Pomicino, Gianni Prandini, Riccardo Misasi, Enzo Scotti, Dario Antoniozzi, Peppino Gargani. Ed ancora, Ugo Pecchioli, Agazio Loiero, Ernesto Pucci, Anna Maria Nucci, Ciccio Bova, Nello Vincelli, Roberto Formigoni, Totò Cuffaro, Nanà Veraldi, Carmelo Pujia, Angelo Donato, Lillo Manti, Lorenzo Cesa e Silvio Lega, ad esempio.

… e i giornalisti

Ve ne sono altri, tanti altri, così come vi sono parecchi giornalisti, del tipo di Pippo Marra, Enrico Mentana, Jas Gawronsky, Roberto Napolitano, Augusto Minzolini, mio cugino Enzo Romeo o Francesco Pionati e tutto ciò, mi ha arricchito moralmente, anche se al tempo stesso, rende il sottoscritto, irritabile alle miserie -nemmeno mediocrità – di una tristissima attualità contemporanea. Purtroppo, essa esiste, anche alle latitudini calabresi.

Ciò lo dico soprattutto pensando alla ‘questua’ che si richiede da parte di qualcuno, pur di ottenere un tozzo di inserzione pubblicitaria, pena la probabile (e in alcuni casi attuata) censura: non tutti sono così e quelli che lo hanno fatto, lasciandomi traccia, perché caduti nella mia giusta trappola – in quanto desidero, persino, svergognarli – si ritrovano oggi, non solo con la probabile segnalazione all’organo di disciplina del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti (infatti, ne ho parlato, nei giorni scorsi, con Giuseppe Soluri, spiegandogli che se non avessi avuto riscontro, avrei portato le mie giuste, vere e dimostrate lagnanze, sino al livello nazionale della categoria), bensì potrebbero essere persino travolti dall’eventualità di una concreta denuncia, presso l’autorità giudiziaria.

Sono fatto così…

Sono fatto così e me ne sbatto dei fallaci, futili, insignificanti e strumentali (pre)giudizi altrui: beccatevi questa e ‘annatevene pe` fratte’, come si dice a Roma! Epperò, devo parimenti confessare, quanto le cose strane, mi capitano da quando ero bambino, del tipo di vedere mia madre – lei, figlia di un parlamentare di lungo corso, per di più democristiano – in pieni ‘anni di piombo’, scambiata per l’allora primula rossa delle BR, ovvero Mara Cagol.

Due leggende dei carabinieri

Solo il provvidenziale intervento di due leggende dei carabinieri italiani (Dalla Chiesa e Delfino), fecero in modo che si potesse appurare la certa identità della mia incolpevole genitrice, da cui derivano i geni discendenti dei gameti, i quali hanno prodotto la personale democristianita` del sottoscritto (e menomale!).
Così come, tra le cose strane e bizzarre, una volta giunto a Catanzaro – dove ci trasferimmo da Bovalino – frequentavo la stessa casa, in cui Freda e Ventura (sotto processo nella città dei tre colli, per la strage di Piazza Fontana), giocavano a carte, ogni sera: vai a spiegare, ad una mente suggestionata e suggestionabile, di uno squilibrato monasteracese qualsiasi (o in particolare), che all’età di poco più cinque anni, io non fossi un bambino prodigio e precoce, orbene trattasi dei casi della vita. La mia vita!

Senza dimenticare le combinazioni, non appena misi piede a Beirut, perché scivoleremmo dall’equivoco all’esilarante: giungo, là, il 24 Novembre 2004, di tardo pomeriggio – alla testa della delegazione di Banca Intesa (dove in quegli anni, per nomina politica della Fondazione Cariplo, ero tra gli Amministratori esterni) – e il giorno dopo, nel mentre eravamo in visita presso gli uffici dell’Ambasciata d’Italia in Libano, mi ritrovo nel bel mezzo di un allarme bomba – con rischio di attentato kamikaze in corso – tanto per essere sottoposto al ‘battesimo del fuoco’.

Cossiga e una battuta delle sue

Ricordo che una volta rassicurati, telefonicamente, i miei genitori, contattai immediatamente, Cesa, Mastella e Casini, ma soprattutto Cossiga, Forlani, Andreotti, De Mita, Scalfaro e Colombo, i quali, mantennero i nervi saldi, anche se Francesco (Cossiga, per l’appunto!), fu l’unico ad uscirsene con una battuta delle sue: “Vincenzo, informami con il satellitare della nostra Legazione Diplomatica, ogni 12 ore. Anzi adesso chiamo immediatamente l’Ambasciatore (al tempo coevo Franco Mistretta) per dargli disposizioni in merito. Poi se la questione continua ad essere fluida arrivo io: Beirut, è una città bellissima, con la più alta concentrazione di spie nel pianeta”.

Quanta ragione aveva!

Dico la verità, quasi quasi mi venne da ridere (come Lorenzo Cesa, può testimoniare), però me ne guardai bene dal fare commenti proprio io e a lui, cioè a Cossiga, ma… quanta ragione aveva. Come al solito.
Intendiamoci, le cose andarono peggio un anno e mezzo dopo, allorquando restai bloccato -per mia scelta!- sempre in Libano, durante i bombardamenti della sesta guerra arabo istrelaeliana, cioè Luglio/Agosto 2006.
I primi giorni, furono di autentico terrore -lo ammetto, la strizza faceva novanta e pure più!- ma poi capii grazie alla pazienza di mia moglie Joumana (stavamo già assieme, per questo restai), la quale mi spiego` il modus comportamentale che avevano gli israeliani, cioè quello di bombardare solo le zone musulmane e risparmiare quelle cristiane.

Tutto filò liscio

Lì per lì, su due piedi, non è che l’impostazione mi convinse molto e mi rassicurasse di più – anche perché in linea d’area eravamo a meno di settecento metri – però poi tutti filò liscio, in quanto ci trasferimmo a casa dello zio di mia moglie, con sua sorella e suo marito (il quale è anche un cugino della mia dolce metà).

Figuratevi voi, me medesimo in quel frangente, dove mi sono sbizzarrito nell’arte del profluvio culinario -d’altronde cosa fa un democristiano, a parte pregare? Studia, intriga e cucina (e quando cucina, se per questo, non lo fa solo per sé e per gli amici, bensì rosola gli avversari) – anzi, proprio le mie arti di chef, permisero al sottoscritto di introdursi nel bel mondo libanese (il quale veniva a casa mia, pure per questo, assieme ai giornalisti italiani o ai funzionari dell’Ambasciata del nostro Paese, compresi gli agenti di stanza a Beirut) e mi venne da commentare, con una delle mie battute: “più di fare l’operatore informativo (insomma l’agente segreto), mi sembra di compiere un reato. Sarà quello della corruzione alimentare?”.

L’apprensione degli amici in Italia

Ogni giorno, infatti, ricevevo un segnale di apprensione da parte di molti amici in Italia, tipo Agazio Loiero, a quell’epoca presidente della Regione; di Clemente Mastella, ministro un carica del secondo Governo Prodi; oppure dello stesso Massimo D’Alema, vicepremier e ministro degli Esteri, il quale faceva si che a ‘vigilare’ sulla mia persona, fosse il suo capogabinetto, ovvero il mio caro amico Giuseppe Fortunato.

Per la verità, vi era pure un’altra persona – la quale conobbi in quelle circostanze- e parliamo dall’allora responsabile dell’Unità di Crisi della Farnesina, la mia carissima, professionalissima e scrupolossima amica, ambasciatrice Elisabetta Belloni: si, proprio lei! Con Elisabetta, durante i giorni di specie, or ora accennati, avemmo modo di conoscerci e di diventare amici: mamma mia, dopo quasi diciassette anni, lo siamo ancora e tutto questo tempo, sembra sia trascorso con la stessa velocita`, di una notte che lascia il posto al giorno dopo!

Tanto ancora ci sarebbe da dire…ma poi dilungherei oltremodo, ovvero incorrerei in previsioni che presto o tardi si verificano e qualcuno – tipo i frustatamente fantozziani tennisti (con tanto di riporto interno alle loro scarpine) – in seguito, potrebbero chiedermene conto, addebitandomi (al solito e come sempre) poteri esoterici, piuttosto che paranormali. Francamente, di questi reietti dello splendore in terra, me ne sbatto eccome, anzi nello sfotterli – a fronte di come realmente sono – godo da impazzire!

La chiosa finale

Certo, una chiosa finale la devo pur dire, con cuore e sincerità, cioè in riferimento a quando scruto la foto che ho sempre con me, cioè quella mia, con i miei figli e mia moglie, poiché – di getto! – mi viene da dire (ripetendolo a piè sospinto): “…pensavo di non aver fatto nulla nella mia vita – oppure poco! – ed invece, questo è un capolavoro”! Sempre unti, come una falange (romana o libanese, fate voi), a condividere i momenti belli e ad affrontare quelli brutti. Non so se altri possono dirsi fortunati come me, eppure il merito è di Joumana. Un matrimonio è fatto di tante cose, in pratica di amore, passione, rispetto, ma essenzialmente di riconoscenza: ecco io ho tutti questi sentimenti per lei, ovvero per la mia donna, la quale è la più bella del mondo.

Miserevoli miserabili

Per i miei figli, le cose si amplificano al punto che si scivola fino ad un totalizzante modo di sentire e vivere la vita, in funzione di ‘lor signori’, com’è giusto che sia. Eh già, non posso dimenticare con che dignità, con quanta pazienza, con quale apprensione, hanno vissuto un mio momento particolare, quando una ingiusta, prepotente, indebitamente psicotica furia, ha pensato di scagliarsi contro di me! Miserevoli miserabili, io sono qui, vivo, in forza, senza timore e senza vergogna, ma a voi non auguro le ‘forche caudine’ alle quali pensate di avermi condannato in quel lontano e difficile periodo, perché sono più forte di prima, migliore di voi e rappresento il bene che sconfigge il male.

Io sono diverso da voi

Poco importa quanta ingiusta carriera avete fatto – magari anche sulla mia pelle! – perché non vi considero, epperò denuncerò, ‘cum grano salis’, il marciume che siete, la vostra bramosia di arrogante potere, gli atteggiamenti golpisti e le distorsioni democratiche. Io sono io, diverso da voi – naturalmente e grazie a Dio – ribadendo che in quelle ore, in quei giorni, in quelle settimane, in quei mesi, in quegli anni, Moro era con me, ad assistermi e a vegliarmi, nel mentre i miei amori, dormivano un sonno di dolore, ed io… già io, magari talvolta cedevo, ma poi sono risorto, alla stregua dell’Araba Fenice. E sono, persino, migliore, rispetto al prima.

Uno spaccato della mia vita

Già, c’era Moro (sempre Moro, solo Moro!), ma c’era anche Craxi (altro martire di questa falsa rivoluzione fintopurista, del magistratume ‘roberspieriano’) e assieme a loro, aleggiava Andreotti, che nella mia mente e dentro il mio animo – entrambi afflitti, piagati, ma non sconfitti! – ripeteva, incessante: “A regazzi`, ce fanno pur soffri`, ma nun ce fanno male!” “A Giulio” – immaginando così l’ideale dialogo, con la mia relativa risposta (al netto di come lui, quando era in intimità, parlava il romanesco e questa frase or ora riportata in precedenza, me la disse veramente) – dicevo “A Giulio, è vero, nun li vedemo affatto e noi semo mejo de loro. Semo a verità e a ragione”. Già, dopo tanti anni a Roma, pure il sottoscritto conosce lo ‘slang’ dei sette colli, anche se il calabrese e il bovalinoto, li parlo ancora.

Ecco, ho descritto uno spaccato della mia vita, ed essa, vale la pena viverla, sempre! La mia, poi, anche di più.

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