Estorsione ad un noto imprenditore di Catanzaro in nome della ‘ndrangheta di Isola, 5 condanne in appello (NOMI)

Confermata dai giudici della Corte di appello la condanna per il collaboratore di giustizia Santino Mirarchi
graduatoria cancelliere

Regge anche in appello l’inchiesta della Dda di Catanzaro che punta a far luce su una serie di furti, estorsioni, atti intimidatori in nome della ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto e della cosca della Montagna, svelando imposizioni di guardianie e di dipendenti all’interno di una azienda molto nota di Catanzaro, operante nel commercio di materiali edili, specializzata in costruzioni di edifici e ristrutturazione di immobili di medie e grandi dimensioni.  La Corte di appello di Catanzaro, presidente Alessandro Bravin, a latere Maria Rosaria di Girolamo e Assunta Maiore, ha inflitto cinque condanne, riformando parzialmente la sentenza di primo grado pronunciata dal gup il 7 dicembre 2022, per quattro di loro. In particolare ha sentenziato per Cosimo Passalacqua, alias “U Toscanu”, (67 anni) di Catanzaro, 8 anni di reclusione e 5.600 euro di multa, in luogo dei 10 anni, 8 mesi e 8mila euro di multa “incassati” dal giudice di prime cure; per Luca Veneziano, (37 anni) di Catanzaro, per Cosimo Berlingieri, (52 anni) di Catanzaro e Enzo Abbruzzese, (49 anni) di Catanzaro, 4 anni, 10 mesi, 20 giorni di reclusione e 3.600 euro di multa, in luogo degli 8 anni e 6mila euro di multa, ciascuno, disposti dal gup. La Corte di appello ha confermato il verdetto pronunciato in primo grado nei confronti del collaboratore di giustizia Santino Mirarchi, (40 anni), di Catanzaro, condannandolo a 2 anni e 6mila euro di multa. 

 Il gup ha inoltre disposto per Veneziano, Berlingieri e Abbruzzese la revoca della pena accessoria dell’interdizione legale, sostituendo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea della durata di cinque anni. Un altro imputato, sempre coinvolto nella stessa inchiesta, che ha optato per il rito ordinario, è stato già rinviato a giudizio. Si tratta di Gianluca Passalacqua, 37 anni di Catanzaro e nei suoi confronti è in corso il processo dibattimentale. I legali Michele Gigliotti, Dario Gareri, Mary Aiello, Vincenzo Pizzari, Anselmo Mancuso, Alessio Spadafora, attenderanno le motivazioni della sentenza, che verranno depositate tra novanta giorni, per ricorrere in Cassazione.

Dall’estorsione mafiosa al ruolo del pentito Mirarchi

Nei confronti degli imputati si ipotizzano a vario titolo i reati di estorsione continuata e aggravata dal metodo mafioso, tentata estorsione, plurimi episodi di furto con violenza e travisamenti, tentato furto in abitazione. Si tratta di un’inchiesta scattata nel 2020 quando lo stesso imprenditore ha denunciato un furto, dal quale si sono aperti retroscena più inquietanti risalenti a circa un trentennio fa e che vede come protagonista Cosimo Passalacqua, “U Toscanu”, che avrebbe garantito all’imprenditore “una tranquillità ambientale”, in cambio di un prezzo da pagare molto alto.  Alla denuncia dell’imprenditore si sono aggiunte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno consentito ad inquirenti ed investigatori di chiudere il cerchio sui presunti autori delle estorsioni e delle minacce. Santo Mirarchi, per conto della cosca di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, avrebbe riscosso ogni primo del mese personalmente o tramite Cosimo Passalacqua, la somma di 500 euro negli anni dal 2010 al 2016(fino alla data del suo arresto e della sua collaborazione con la giustizia) per lavori di ammodernamento eseguiti dall’impresa catanzarese nella Stazione ferroviaria e nel cimitero di Catanzaro Lido. Con l’aggravante della mafiosità. In particolare U Toscanu avrebbe evocato la propria parentela con Cosimo Abbruzzese, detto U Tubu e alludendo a collegamenti criminali con appartenenti alla ‘ndrangheta di Isola, la cosca Arena, di cui Mirarchi sarebbe stato il referente sul territorio di Catanzaro.

La protezione di Cosimo U Toscanu

Nonostante i timori iniziali dovuti alla paura di ulteriori ritorsioni, la vittima racconta di avere assunto alle proprie dipendenze circa 30 anni fa, due figli e il cognato di Passalacqua, nonchè lo stesso U Toscanu per sua espressa richiesta. Per come riportato nell’ordinanza, il rapporto di lavoro con Passalacqua aveva messo subito in luce degli aspetti anomali: oltre a non essere un ottimo lavoratore, imponeva ogni anno nel periodo estivo il licenziamento per poter andare a fare la guardia ai lidi durante la notte prendendo contestualmente la disoccupazione. E nonostante l’allontanamento formale dall’azienda per circa dieci anni, avrebbe continuato pur non essendone più dipendente a gravitare nell’orbita dell’impresa, pretendendo di proteggere l’azienda dalle consorterie criminali. “Mi sentivo tranquillo quando ho assunto queste persone, perché spesso sentivo altri imprenditori che mi raccontavano di aver subito furti o altri episodi spiacevoli che a me non accadevano. In realtà mi sentivo così tranquillo che i figli di Passalacqua hanno anche lavorato a casa mia e una volta, quando dovevo fare un lavoro alla Fiumarella in via Lucrezia della Valle, ho chiesto a Cosimo se fosse sicuro visto che ci abita una comunità rom e lui in quell’occasione mi fatto capire di non preoccuparmi. Quando sono andato la prima volta alla Fiumarella ero stato accerchiato da vari rom, tra cui Veneziano, che esigeva dei soldi e grazie a Cosimo mi hanno lasciato tranquillo, anche se a Veneziano ho dovuto dare 200 euro”.

Dalla imposizione della Guardiania alle minacce ritorsive

La garanzia di ottenere sicurezza per l’impresa proveniva da Cosimo Passalacqua che in più occasioni aveva ostentato alla vittima il suo ruolo di spicco sia all’interno della comunità rom, sia nella criminalità organizzata ‘ndranghetistica di Isola di Capo Rizzuto e “della Montagna”. La vittima ha aggiunto al pubblico ministero che la sua azienda non sarebbe stata toccata dalla malavita come anche i suoi cantieri e che Passalacqua  non era un semplice custode aziendale: pretendeva libero accesso alla sede aziendale, l’automatizzazione dei cancelli, un ufficio prefabbricato con due stanze ed un bagno riservato esclusivamente a lui. Richieste a cui la vittima soggiaceva per evitare ritorsioni e furti.  Lo stato di prostrazione della vittima emerge con evidenza, secondo quanto riportato negli atti del gip, dallo stralcio di alcune dichiarazioni che descrivono il potere esercitato, in questi contesti territoriali, dalla criminalità organizzata, con i suoi effetti devastanti non solo sulle attività economiche, ma anche sul tessuto sociale della zona.

Il prezzo da pagare per la protezione e i danneggiamenti

Il servizio di guardiania imposto alla vittima prevedeva  un prezzo: non solo le anticipazioni degli stipendi da versare ai figli dell’indagato, suoi dipendenti, ma anche elargizioni periodiche, sia di denaro, che di altri beni. Aveva versato fin dall’inizio a Passalacqua 500 euro mensili oltre ad avergli regalato mezzi, pagato le relative spese di mantenimento e avergli corrisposto del denaro in occasione di alcuni specifici lavori sui cantieri. E ai figli “davo delle anticipazioni sugli stipendi per piccole somme come fanno anche altri operai. Una volta però, più o meno un anno fa, sono venuti a chiedermi circa 3mila euro e queste anticipazioni le ho sempre scontate in busta paga, Cosimo però mi chiedeva altri soldi per la benzina”, o per comprare alcune auto nel corso degli anni, avvertendolo che altrimenti non avrebbe più controllato l’azienda: “mi ha chiesto di regalargli un motocarro, un’altra volta una Fiat Panda, di pagargli sempre l’assicurazione delle auto. Alla fine credo che ogni anno gli regalavo all’incirca 6mila euro. Glieli davo, perché mi ripeteva sempre che fino a quando c’erano lui e i suoi figli nessuno mi avrebbe dato fastidio. Io pagavo le 500 euro a Passalacqua per la guardania, oltre agli extra sugli altri cantieri e beni ed in più pagavo (come fossero una tangente) le tre assunzioni dei due figli e del genero di Cosimo. Per cui mi ritenevo coperto. Quando si trattava di cantieri particolarmente esposti o nei quali era necessaria lasciare sui posti attrezzature che facilmente potevano essere sottratte, a Passalacqua veniva corrisposta un’ulteriore somma di circa 200, 300 euro. La vittima si riferisce ai lavori effettuati 6-7 anni fa nell’area Magna Graecia  di fronte la stazione di Catanzaro Lido, a quelli sul Lungomare, nelle case popolari di viale Isonzo e in generale per tutti i lavori che aveva svolto nella zona di Catanzaro. Nel momento in cui il rapporto tra i due si incrina iniziano i guai seri: i furti di attrezzi, gli atti intimidatori, i finestrini dei furgoni infranti, la manomissione dei sistemi di avviamento di alcuni mezzi e di due distributori automatici, la sottrazione di merce, i furti in casa. Una serie di prescrizioni che hanno portato la vittima a denunciare e far scattare l’inchiesta che ha portato, all’epoca dei fatti, un indagato in carcere e 4 ai domiciliari (LEGGI).

LEGGI QUI | Estorsioni a Catanzaro, le ‘mbasciate di Mirarchi e l’imprenditore vittima delle ‘ndrine di Isola

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