È stato condannato a 3 anni e 6 mesi di carcere per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose Domenico Bosa, detto “Mimmo Hammer”, ultrà della curva interista, ritenuto uno dei capi del movimento neonazista milanese “Hammerskin”. Lo ha deciso il gup di Milano Guido Salvini nel processo con rito abbreviato che ha portato anche ad altre tre condanne fino a 4 anni.
Bosa, 53 anni, era finito in carcere nel gennaio dello scorso anno in una maxi operazione della Guardia di finanza che aveva portato ad altri 17 arresti, su ordinanza del gip Livio Cristofano e su richiesta dei pm Sara Ombra e Gianluca Prisco, su una presunta maxi frode fiscale da 160 milioni di euro nel settore delle telecomunicazioni e in particolare “nella tecnologia Voip”. E su una presunta associazione per delinquere, finalizzata anche a reati di usura, con a capo Alessandro Magnozzi (a processo con rito ordinario) e legata al clan della ‘ndrangheta calabrese, radicato anche a Milano, dei Bruzzaniti, inserito nella “cosca dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti”. Bosa, in particolare, legato, stando alle indagini, alla “famiglia Pompeo” di Bruzzano, nel Milanese, con altre tre persone, tra cui Magnozzi, nel 2018 avrebbe tentato di costringere un imprenditore “a consegnare” al gruppo “la somma di euro 70-80 mila euro non riuscendo nell’intento”.
Bosa, 53 anni, era finito in carcere nel gennaio dello scorso anno in una maxi operazione della Guardia di finanza che aveva portato ad altri 17 arresti, su ordinanza del gip Livio Cristofano e su richiesta dei pm Sara Ombra e Gianluca Prisco, su una presunta maxi frode fiscale da 160 milioni di euro nel settore delle telecomunicazioni e in particolare “nella tecnologia Voip”. E su una presunta associazione per delinquere, finalizzata anche a reati di usura, con a capo Alessandro Magnozzi (a processo con rito ordinario) e legata al clan della ‘ndrangheta calabrese, radicato anche a Milano, dei Bruzzaniti, inserito nella “cosca dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti”. Bosa, in particolare, legato, stando alle indagini, alla “famiglia Pompeo” di Bruzzano, nel Milanese, con altre tre persone, tra cui Magnozzi, nel 2018 avrebbe tentato di costringere un imprenditore “a consegnare” al gruppo “la somma di euro 70-80 mila euro non riuscendo nell’intento”.