di Mimmo Famularo – Gli rubano un rimorchio di un autoarticolato a Mileto e per riaverlo indietro chiedono prima 500 euro, poi altri mille euro e ancora ulteriori duemila euro. Il troppo è troppo e la vittima decide di denunciare tutto e collaborare. E’ cosi che i carabinieri di Vibo hanno individuato i presunti componenti di una banda dedita alle estorsioni con il metodo del cavallo di ritorno. Secondo quanto ipotizzano gli inquirenti rubavano auto e moto per poi chiedere il riscatto alle vittime per riavere indietro il mezzo. Il commerciante di Mileto è arrivato a sborsare almeno tremila euro per riavere indietro un rimorchio che non valeva più di diecimila. Alla fine non è stato neanche restituito e gli inquirenti il conto lo hanno presentato a ogni singolo componente della presunta banda. Lo hanno fatto nel corso della notte appena trascorsa con un blitz che ha visto impegnati ai confini tra la provincia di Vibo e la piana di Gioia Tauro una cinquantina di militari.
I nomi degli arrestati
I nomi degli arrestati
Il gip del Tribunale di Vibo ha emesso nei confronti di sette persone un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Procura guidata da Camillo Falvo che ha supervisionato le indagini coordinate sul campo dal sostituto procuratore Eugenia Belmonte. In carcere sono quindi finiti Giuseppe Pietro Bellocco, 38 anni; Giuseppe Gallo, 43 anni; Rocco Restuccia, 34 anni; Giovanni Sesini, 31 anni tutti di Rosarno; e Angelo Bertone, 46 anni di Paravati. Ai domiciliari invece Antonio Cacciola, 40 anni di Rosarno e Domenico Bertone, 53 anni di Paravati. A vario titolo devono rispondere di estorsione consumata e tentata, con il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”, ricettazione, detenzione illegale e porto abusivo di arma da fuoco.
La ricostruzione degli inquirenti
Tutto nasce dal furto del rimorchio tra il 9 e l’11 maggio 2020 in località Piano di Bruno a Mileto, in provincia di Vibo Valentia. L’episodio viene denunciato dal commerciante e la Procura apre un fascicolo contro ignoti. Sul campo le indagini sono condotte di carabinieri della Compagnia di Vibo e la vittima svela poco dopoo di essere stato contattato dal pregiudicato Pietro Bellocco per tentare di riprendere il possesso del mezzo. Si tratta di un esponente della famiglia di ‘ndrangheta di Rosarno già arrestato qualche settimana fa. Gli inquirenti capiscono subito che si tratta di un’estorsione con il metodo del cavallo di ritorno e seguono passo dopo passo la vicenda. Secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta Bellocco si impegna a recuperare il rimorchio a fronte del pagamento di 500 euro e il commerciante si reca insieme a un suo conoscente (Angelo Bertone) a Rosarno. Qui incontrato un’altra persona di nome “Gianni” che reclama il pagamento di 1000 euro per la restituzione del mezzo (500 subito e il resto alla consegna). La vittima non si scompone, si reca al Bancomat, preleva e paga. All’indomani si presenta allo svincolo di Laureana di Borrello ma “Gianni” non c’è. A questo punto il commerciante va dal fratello di Angelo Bertone, Domenico, il quale gli consiglia di non consegnare più denaro “a gente di Rosarno”. Per gli inquirenti sapeva con certezza che a rubare il rimorchio era stato il fratello. In scena entra a questo punto un fruttivendolo di Rosarno che riferisce che il mezzo era stato venduto e che il giorno seguente sarebbe dovuto partire per la Libia. Inizia una nuova intermediazione con Domenico Bertone che chiede al fruttivendolo di contattare questi soggetti per riavere il rimorchio. L’incontro avviene e a presentarsi sono altre due persone a bordo di una Smart. Per il commerciante altri soldi da sborsare: duemila euro in contanti. Tutto vano. Il rimorchio? Mai restituito. Forse messo sul mercato clandestino e venduto. Per questo motivo la Procura contesta anche il resto di ricettazione.
La “recita”
Agli indagati non viene contestato il metodo mafioso ma, da quanto emerga dalle indagini, avrebbero anche cercato di convincere la vittima a pagare attraverso diverse forma di intimidazione. Il cognome di Bellocco già incuteva un certo timore e nel corso degli incontri – alcuni dei quali monitorati dagli investigatori – va in scena quella che viene definita una “recita”. In uno degli appuntamenti infatti alcuni delle persone arrestate si puntavano la pistola tra loro, appunto per creare un clima di terrore”. Uno dei complici invece diceva alla vittima: “Io stesso cammino armato perché ho paura”. Il commerciante di Mileto però ha mostrato coraggio e ha denunciato tutto e tutti ai carabinieri e la “recita” è finita.
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