Eutanasia, la storia di Fabio immobilizzato da 18 anni e ignorato dallo Stato

“Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora”

di Ilaria Guzzo e Sara Spanò – Fino a non molto tempo fa, pochi avrebbero potuto immaginare che l’art. 32 della Costituzione sarebbe divenuto oggetto di importanti e accessi dibattiti che hanno interessato e tuttora interessano non solo il mondo giuridico ma, anche quello medico-scientifico, filosofico- morale e religioso fino a giungere agli onori della cronaca, mobilitando l’opinione pubblica. Il dibattito ha ad oggetto la questione sul fine-vita e di conseguenza l’eutanasia; si tratta di un tema di grande attualità, dietro cui si cela l’insondabile mistero della vita e della morte. L’eutanasia è un argomento che ha sempre diviso il Parlamento italiano, motivo per il quale la legiferazione è stata spesso differita e mai ritenuta come necessaria. Il bene vita non è considerato da tutti “intangibile”, la sua indisponibilità è riferita soprattutto alla necessità di difendere la persona da qualunque atto di aggressione da parte di terzi, senza che ciò escluda la possibilità del titolare di disporre liberamente della propria vita secondo un principio di autodeterminazione individuale.

Assenza della definizione di eutanasia

Assenza della definizione di eutanasia

Tuttavia, nonostante l’assenza di una definizione generale e univoca di eutanasia che la descriva specificatamente, le pratiche ad essa ricondotte sono qualificate attraverso tre binomi categoriali: eutanasia attiva o passiva, a seconda rispettivamente, dell’intenzionalità o meno di cagionare la morte; commissiva o omissiva, a seconda della condotta posta in essere, e infine, volontaria o involontaria, a seconda che vi sia o meno il previo consenso del paziente. Se “homo dignus è sinonimo di libertà”, allora dovrebbe essere garantito il rispetto delle scelte, dei valori e delle sue volontà, poiché al contrario, imponendo di vivere una vita che non sente come propria, l’uomo vedrebbe minacciata la sua dignità. Ed è proprio su questo punto che nascono le discussioni in merito al riconoscimento nel nostro Paese delle pratiche eutanistiche; considerate espressione del principio di autodeterminazione, attraverso cui al paziente dovrebbe essere data la possibilità di scegliere autonomamente il momento del commiato.

La legge sul fine vita in Italia

In Italia la legge n. 219 del 2017, la cosiddetta legge sul “fine vita”, riconosce al malato il diritto di essere informato sulle proprie condizioni di salute, ad essere aggiornato sulle diagnosi, sulla prognosi, sui benefici e rischi degli accertamenti e dei trattamenti sanitari. La medesima, dispone che un paziente “può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni”, come può anche rifiutare parte o tutti i trattamenti, ha la facoltà di interrompere le cure in qualsiasi momento e richiedere le cure palliative accedendo persino alla sedazione profonda dopo essersi staccato dai macchinari che lo tengono in vita.

La storia di Fabio

A tal proposito, proprio nelle ultime ore, è iniziato il cammino verso la morte per Fabio Ridolfi, il 46enne Marchigiano di Fermignano, in provincia di Pesaro, immobilizzato da 18 anni a causa di una tetraparesi. L’uomo aveva ottenuto l’assenso del Comitato Etico Regione Marche al suicidio medicalmente assistito, per poi fermarsi sulla mancata indicazione del farmaco da utilizzare. Fabio, che può comunicare solo con un puntatore oculare, “ha scelto di porre fine alle sue sofferenze tramite la sedazione profonda e continua”. Difatti, comunicando attraverso un puntatore oculare, aveva spiegato pochi mesi fa in un video: “Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora”. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene”. In mattinata Fabio sarà trasferito all’Hospice di Fossombrone, dove verrà eseguita la sedazione profonda.

Fallimento della politica

L’ennesimo fallimento della politica, la quale ha indotto la giurisprudenza a compiere uno sforzo enorme volto a colmare il vuoto normativo in essere. Nel mondo quasi tutti gli Stati hanno affrontato o stanno affrontando questo problema e la maggior parte si sono dotati di una legislazione ad hoc. In Italia, invece, la battaglia per l’eutanasia legale è iniziata circa 40 anni fa con innumerevoli proposte di legge, appelli, sentenze che il Parlamento non ha mai preso realmente in considerazione. Anzi, la politica in tutti questi anni, non solo è “rimasta a guardare”, ma ha remato anche contro, sostenuta soprattutto dalle opposizioni clericali. Nel nostro Pese, la richiesta di legalizzare l’eutanasia continua ad essere un grido di battaglia di essere “Liberi fino alla fine”, che rappresenta senza alcun dubbio un cambiamento epocale di paradigma, che consiste nel progressivo passaggio dal tradizionale modello dell’indisponibilità della vita, secondo cui la vita non ci appartiene e quindi l’individuo non può lecitamente rinunciare ad essa, (tesi supportata soprattutto dalla Chiesa Cattolica); al nuovo modello della disponibilità della vita, secondo cui questa ci appartiene e quindi ognuno di noi, in determinate circostanze, può lecitamente rinunciare ad essa.

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