LA SENTENZA

“Fai silenzio ca parrasti assai”, definitiva la condanna del boss Mancuso per oltraggio al pm Manzini

Intimidazioni nate nel corso di un processo in cui Scarpuni aveva inveito contro il collaboratore di giustizia Mantella, definendolo caprone

Diventa definitiva la condanna a un anno e tre mesi di reclusione nei confronti del boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, accusato di aver oltraggiato in udienza il magistrato Marisa Manzini, difesa dall’avvocato Giovanna Fronte. La Corte di Cassazione, ha confermato la sentenza di secondo grado, dichiarando inammissibile il ricorso del difensore dell’imputato, rispetto ad una vicenda giudiziaria che risale al 10 ottobre 2016, quando nel corso di un’udienza tenutasi dinanzi al Tribunale di Vibo, che lo vedeva imputato insieme ad altri, collegato in video conferenza, è stato condotto l’esame del collaboratore di giustizia Andrea Mantella.

“Questo signore si accoppiava come fanno le capre”

“Questo signore si accoppiava come fanno le capre”

Nel corso del controesame sono state poste da un difensore alcune domande sui suoi rapporti con la cognata Santina La Grotteria per dimostrare che fra loro vi fosse stata una relazione sentimentale, cosa che gli avrebbe reso impossibile assurgere ai vertici della criminalità organizzata vibonese e dunque di poterne credibilmente riferire le attività delittuose. Domande senza risposta e Mantella si è spinto sino al punto di offendere gravemente il difensore (“avvocato, lei è un pagliaccio”), escludendo comunque che sulla fine dei suoi rapporti col clan Lo Bianco avessero influito vicende private. Terminata l’escussione di Mantella, Scarpuni prende la parola tornando proprio sulla relazione intrafamiliare, affermando: “questo signore si accoppiava come fanno le capre, come fanno gli animali, si accoppiava con questa signora e pare che sia nata anche una bambina da questo, non penso che il pubblico ministero non conosce queste cose”.

“Fammi parrara a mia, sto rendendo dichiarazioni spontanee”

Il magistrato Marisa Manzini di fronte a questa affermazioni, formula un’eccezione eccependo al presidente del collegio la non attinenza di queste dichiarazioni con i fatti del processo, ma fu immediatamente zittita da Mancuso: “fai silenzio, fai silenzi, fai silenzio ca parrasti assai, fai silenzio ca parrasti assai”. Il magistrato continua a spiegare al collegio la propria opposizione, lamentando la terminologia discutibile usata contro il testimone e scatenando nuovamente la reazione del boss: “hai capito che parrasti assai, fammi parrari a mia, ca ancora… ti devo parlare di mia moglie ancora, fai silenzio”. La Manzini non indietreggia e ribadisce l’estraneità delle dichiarazioni di Mancuso ai fatti del processo, mentre quest’ultimo insiste: “ Stai zitta , sto parlando io, sto rendendo dichiarazioni spontanee”.

“Il signor Mantella è un bugiardo e la Manzini lo sa”

Interviene il presidente del collegio che spiega all’imputato l’inammissibilità di toni usati e Scarpuni ribatte: “Il signor Mantella è un bugiardo e Marisa Manzini ne è a conoscenza e ha avuto un comportamento piuttosto surrettizio e non solo in questo, ma io le chiedo di allegare tutti i verbali che lui ha rilasciato che oggi nelle contestazioni non è che ha risposto giusto… è un imbroglione, io con questo signore non ho mai avuto a che fare, non l’ho mai conosciuto… Comunque questo soggetto si accoppava con le capre, ripeto era un caprone”.

“Impedito al magistrato di svolgere il proprio lavoro”

Già il giudice di prime cure, il Tribunale di Salerno nel motivare la condanna ad un anno e tre mesi nei confronti di Scarpuni, aveva precisato come la ripetuta intimidazione alla Manzini di stare zitta “costituiva la pretesa di impedirle di svolgere il proprio ruolo, escludendole pregiudizialmente la dignità di parte processuale facultata ad interloquire col Tribunale e riducendola ad un inutile orpello obbligato a tacere”. Inoltre Mancuso accusando il magistrato di utilizzare surrettiziamente un “collaboratore di giustizia bugiardo, ne pose pubblicamente in dubbio le doti di correttezza e professionalità, addirittura insinuandone la volontà di nuocere consapevolmente gli imputati tramite un calunniatore”. 

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