di Gabriella Passariello – Non sapevano di avere le microspie piazzate all’interno della “Tavernetta” del boss Nicolino Grande Aracri all’epoca dei fatti detenuto e parlavano delle loro strategie, del progetto finalizzato ad accaparrarsi la distribuzione dei farmaci in tutta la provincia di Catanzaro. Era il 7 giugno 2014 e alla riunione erano presenti Giovanni Abramo genero di mani di gomma, Giuseppina, moglie di Nicolino Grande Aracri, Francesco Le Rose, il commercialista e consulente del clan di Cutro Leonardo Villirillo e il fedelissimo imprenditore e mentore dell’area catanzarese Domenico Scozzafava. La riunione serviva alla cosca per parlare di investimenti nel Catanzarese, ma soprattutto era funzionale per chiarire alcuni aspetti dell’importante iniziativa economica relativa alla distribuzione all’ingrosso di farmaci.
Il politico utile al progetto
Il politico utile al progetto
Nel corso della conversazione veniva spesso citato zio Mimmo, Domenico Grande Aracri, al quale veniva affidato il ruolo di catalizzatore del clan. Villirillo puntava l’attenzione sul ruolo di una persona importante nella vicenda che indicava come l’assessore, Domenico Tallini, arrestato stamane su richiesta della Dda di Catanzaro nell’ambito dell’operazione “FarmaBusiness”, con il compito di accelerare l’iter burocratico relativo al rilascio delle autorizzazioni regionali e risolvere eventuali altre problematiche. Villirrillo parlando dell’interessamento di quest’ultimo indicato come l’assessore mostrava un quadro chiarissimo circa la natura dei rapporti con l’esponente politico e gli interessi in gioco. Difatti Villirillo riteneva Tallini utile non solo al progetto ma anche ad altri ed eventuali bisogni del sodalizio. Il commercialista una volta ottenute le licenze suggeriva ai vertici del clan di muoversi ad ampio raggio, contattando quante più farmacie possibili al fine di ottenere la loro disponibilità a consorziarsi con la nascente società. Tallini, secondo quanto detto nel corso della riunione, aveva già individuato 4 farmacie disponibili ad approvvigionarsi dei farmaci occorrenti al costituendo consorzio. Con questo sistema il clan stimava di poter incassare centinaia di milioni di euro all’anno.
Donne al potere
Ai vertici della cosca Grande Aracri c’erano moglie e figlia del boss Nicolino Grande Aracri, Giuseppina Mauro ed Elisabetta Grande Aracri (finite in carcere), ma anche la consorte di Ernesto Grande Aracri, Serafina Brugnano (indagata), che avrebbero avuto il pieno controllo del potente clan di Cutro durante il periodo di detenzione dei rispettivi mariti. Tre donne capaci, secondo quanto emerge dall’atti dell’ordinanza vergata dal gip Giulio De Gregorio, di rappresentare e restituire le figure apicali dell’organizzazione “provvedendo a dare disposizioni e direttive agli associati nella pianificazione delle attività illecite, anche in ragione delle indicazioni provenienti dai congiunti detenuti”.
Secondo gli inquirenti, le tre donne “provvedono a gestire gli introiti della consorteria mediante la materiale ricezione di danaro da parte delle figure imprenditoriali di riferimento della cosca, quali i cugini Gaetano Le Rose e Giuseppe Ciampà”. Sarebbero state proprio loro a intervenire “nei confronti degli altri sodali per eludere le investigazioni, quando le stesse sono orientate a prendere armi costituenti il potenziale militare della consorteria”.
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