di Mimmo Famularo – Tallini non sapeva che Scozzafava facesse parte della ‘ndrangheta o avesse conoscenze in contesti criminali. E’ quanto mette nero su bianco il giudice Barbara Saccà nelle 333 pagine che costituiscono le motivazioni della sentenza del processo celebrato con rito abbreviato e scaturito dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nome in codice “Farmabusiness” (LEGGI QUI). All’ex assessore regionale, difeso dall’avvocato Vincenzo Ioppoli e assolto da tutte le accuse “perché il fatto non sussiste”, viene dedicato un paragrafo di una decina di pagine nel corso del quale il gup traccia la sua figura e i contatti con l’antennista di Catanzaro che per la Procura antimafia diretta da Nicola Gratteri sarebbe l’intermediario del clan Grande Aracri (LEGGI QUI).
Tallini e l’affare Farmaeko
Tallini e l’affare Farmaeko
Al centro del processo la costituzione del consorzio “Farmaeko” e le ingerenze della ‘ndrangheta che coinvolgono, a vario titolo, non solo sodali e affiliati ma anche imprenditori e professionisti vari. “La cosca Grande Aracri – scrive il gup – aveva il massimo interesse a celare il suo coinvolgimento nell’affare, per come ammesso da Salvatore Grande Aracri, nella riunione del 7 giugno 2014 che raccomandava di fare un cosa ‘più pulita possibile’”. Da qui il ricorso a figure istituzionali come quella di Mimmo Tallini che all’epoca dei fatti ricopriva il ruolo di assessore regionale. “In questa logica – sostiene il giudice – la cosa ’più pulita possibile’ avrebbe preteso ragionevolmente che l’assessore stesso non avrebbe dovuto sapere, come gli altri membri estranei alla ‘famiglia’, che dietro il progetto ‘Farmaeko’ ci fossero i cutresi”. Quanto alle pressioni e alla interferenze che Tallini avrebbe esercitato su alcuni dirigenti regionali per velocizzare l’iter burocratico per il rilascio della necessaria autorizzazione, il gup evidenzia le difficoltà riscontrate dai protagonisti per smuovere una procedura che appariva estremamente farraginosa e complessa sottolineando: “Non vi è prova che Tallini fosse intervenuto, in sede di rilascio dell’autorizzazione”. Il giudizio che dà il gup sulla vicenda è tranchant: “Nemmeno sufficientemente provata”.
La strategia “invisibile” dei Grande Aracri
Quanto al sostegno elettorale “non vi sono elementi da cui possa desumersi che il Tallini avesse contezza del contesto criminale nel quale Scozzafava avrebbe potuto agire per sollecitare voti a suo favore”. Il giudice fa riferimento alla del 3 ottobre del 2014 quando il politico catanzarese incontra per probabili fini elettorali altri soggetti. Due giorni dopo Scozzafava conversa al telefono con un altro imputato, il commercialista De Sole. Quest’ultimo palesa il timore che al cospetto di Tallini fosse comparso Villirillo (uomo dei Grande Aracri) ma l’antennista smentisce e rassicura il suo interlocutore. Per il gup “è la dimostrazione della volontà del clan di non comparire attraverso i suoi riconoscibili esponenti”. Considerazioni analoghe vengono ribadite in riferimento alla partecipazione nel Consorzio del figlio di Mimmo Tallini, Giuseppe. Per entrambi si deve ritenere che, almeno fino all’agosto del 2015, non fossero a conoscenza della presenza dei Grande Aracri dietro le quinte dell’affare Farmaeko. De Sole, al contrario, sarebbe stato nella percezione di Tallini “un valido punto di riferimento per suo figlio” per età, capacità di iniziativa e perché commercialista il cui padre è il primario del policlinico Gemelli di Roma. In sintesi, gli elementi di prova a carico di Tallini sono insufficienti e non superano i vaglio del giudice “permanendo – conclude il gup – il ragionevole dubbio della insussistenza del fatto”.
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