FELICE DOMENICA | Bovalino e Simeri Crichi, due esempi di culto e di bello in Calabria

"Due eventi culturali svoltisi in due luoghi che scontano una fama dubbia, due momenti di musica e letteratura, di altissimo profilo e a distanza di appena due giorni"

di Felice Foresta – “…ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero…”. Pericle, il politico del V secolo A.C. che fu protagonista dell’epoca aurea di Atene, si esprimeva, più o meno, in questo modo rivolgendosi ai suoi concittadini. Un’apertura verso l’alterità senza precedenti. Forse, ma forse anche no, la versione laica e antesignana del messaggio evangelico. Al netto dei purismi linguistici, tra barbaro e straniero, un dato è inoppugnabile. Chiunque venisse da oltre le mura, terrene o marine che fossero, era solo ospite. Con un corollario di responsabilità e doveri, mai tuttavia avvertiti come tali, per l’ospitante. Anch’esso definito e definibile ospite, quasi a sentenziare l’immedesimazione organica fra genti e persone. E inoppugnabile è, pure, l’inclinazione a questo atteggiamento corale, quasi di attesa e aspettativa, verso lo straniero che staziona, da sempre, nell’anima dei calabresi. Soprattutto di quelli che, abitanti della Jonica meridionale, hanno la straordinaria ventura di perpetuare suggestioni, sentimenti e propensioni caratteriali della madre patria putativa calabrese che fu la Grecia. Pur dovendo scontare, loro malgrado, imprimatur di altra natura, ritenuti prevalenti. Quasi fossero aggravanti, e non mere eccezioni. L’egemonia della disperazione – quella di chi si avventura in letture sociologiche che non gli appartengono e quella di chi queste letture è costretto a subirle – e quella del pregiudizio, purtroppo, sono sorelle. Per vincerle basta poco, però. È stata, questa, una settimana in cui, forse troppo presto, è calata una cortina di silenzio su una tragedia (che è giusto, come ogni tragedia, non commentare) che ha segnato un passaggio decisivo nel processo di arretramento di una civiltà. Speriamo non nel diritto, visto che tutti sono diventati giuristi capaci di di discettare sulla legittima difesa e i suoi eccessi.

E proprio in questa settimana arriva un buffetto fermo sul muso della nostra mediocrità. Un gesto, anzi due. Un evento, anzi due, che, per fortuna, valgono più di un’intenzione di voto. Due eventi culturali svoltisi in due luoghi che scontano una fama dubbia, Bovalino e Simeri Crichi. Il primo che, invece, di essere ricordato per il mare, per essere patria di Mario La Cava, e città di nascita di uno dei più grandi musicisti calabresi contemporanei, Paolo Sofia, è designato come il paese con un quartiere che si vorrebbe nato dai proventi dei sequestri di persona. Il secondo, di cui in molti ignoriamo essere (nella sua frazione più antica, Simeri), come dicono, il territorio dell’insediamento più in antico in Calabria dei Bretti, quelli capaci di parlare l’osco e il greco, e di cui ignoriamo una straordinario esempio di culto e di bello, come la Collegiata, è noto, oggi, soltanto per ospitare la commissione di accesso antimafia. Due momenti di musica e letteratura, di altissimo profilo e a distanza di appena due giorni. Ma non è questo ciò che conta. La portata di queste due soste nelle nostre insulse fatiche quotidiane ha altra radice. È stato straordinario, infatti, ammirare gli sforzi autofinanziati e, soprattutto, quelli immateriali di persone che credono ancora nella straripante forza della cultura quale strumento di emancipazione e sopravvivenza. È stato suggestivo vedere le persone conoscersi e riconoscersi come amici pur senza mai essersi incontrati prima. Ma, soprattutto, è stato un privilegio ricevere un gesto, una parola, un libro da chi, per essere presente, ha dovuto sfidare le curve, la notte e la calura; condividere il senso di appartenenza a una comunità, che non ha codici e confini scritti, ma conosce solo lo statuto dell’accoglienza. Grazie al cielo in Calabria non siamo, allora, tutti sporchi, brutti e cattivi. Non ci piacciono gli steccati. E, soprattutto, crediamo ancora nello spirito dell’accettazione e dell’ospitalità. Insomma, crediamo ancora nell’inesauribile potenza dell’altro, e della sua ricchezza. Chi sia e da dove venga poco importa.

E proprio in questa settimana arriva un buffetto fermo sul muso della nostra mediocrità. Un gesto, anzi due. Un evento, anzi due, che, per fortuna, valgono più di un’intenzione di voto. Due eventi culturali svoltisi in due luoghi che scontano una fama dubbia, Bovalino e Simeri Crichi. Il primo che, invece, di essere ricordato per il mare, per essere patria di Mario La Cava, e città di nascita di uno dei più grandi musicisti calabresi contemporanei, Paolo Sofia, è designato come il paese con un quartiere che si vorrebbe nato dai proventi dei sequestri di persona. Il secondo, di cui in molti ignoriamo essere (nella sua frazione più antica, Simeri), come dicono, il territorio dell’insediamento più in antico in Calabria dei Bretti, quelli capaci di parlare l’osco e il greco, e di cui ignoriamo una straordinario esempio di culto e di bello, come la Collegiata, è noto, oggi, soltanto per ospitare la commissione di accesso antimafia. Due momenti di musica e letteratura, di altissimo profilo e a distanza di appena due giorni. Ma non è questo ciò che conta. La portata di queste due soste nelle nostre insulse fatiche quotidiane ha altra radice. È stato straordinario, infatti, ammirare gli sforzi autofinanziati e, soprattutto, quelli immateriali di persone che credono ancora nella straripante forza della cultura quale strumento di emancipazione e sopravvivenza. È stato suggestivo vedere le persone conoscersi e riconoscersi come amici pur senza mai essersi incontrati prima. Ma, soprattutto, è stato un privilegio ricevere un gesto, una parola, un libro da chi, per essere presente, ha dovuto sfidare le curve, la notte e la calura; condividere il senso di appartenenza a una comunità, che non ha codici e confini scritti, ma conosce solo lo statuto dell’accoglienza. Grazie al cielo in Calabria non siamo, allora, tutti sporchi, brutti e cattivi. Non ci piacciono gli steccati. E, soprattutto, crediamo ancora nello spirito dell’accettazione e dell’ospitalità. Insomma, crediamo ancora nell’inesauribile potenza dell’altro, e della sua ricchezza. Chi sia e da dove venga poco importa.

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