di Felice Foresta – In politica non si costruiscono ponti. Ma il vuoto in cui sospenderli. Non so se Gabriele Romagnoli abbia ragione. E neppure a quale vuoto intenda alludere. Un dato è certo. La scomparsa di un personaggio politico di statura, qual è stato Carmelo Pujia, pone, in tutta la sua immanenza, un interrogativo.
Sebbene, per via dell’età, fosse distante dall’agone politico, l’onorevole Pujia, con la sua scomparsa, riconsegna non solo alla città di Catanzaro, e forse a tutta la Calabria, un argomento intorno a cui discutere, confrontarsi, e magari arrovellarsi. Esistono ancora i leader in politica? Persone capaci di farsi interpreti di un messaggio metapartico, e al contempo capaci di assurgere a capi carismatici di parte?
Sebbene, per via dell’età, fosse distante dall’agone politico, l’onorevole Pujia, con la sua scomparsa, riconsegna non solo alla città di Catanzaro, e forse a tutta la Calabria, un argomento intorno a cui discutere, confrontarsi, e magari arrovellarsi. Esistono ancora i leader in politica? Persone capaci di farsi interpreti di un messaggio metapartico, e al contempo capaci di assurgere a capi carismatici di parte?
Nessun giudizio ex post sull‘operato politico di Carmelo Pujia, per carità. Non ne abbiamo capacità, interesse e diritto. In ogni caso, non saremmo autorizzati stante l’assenza dell’interlocutore. Un dato di fatto è, in ogni caso, indiscutibile. L’onorevole Pujia, e, in verità, assieme a lui tanti altri di ogni estrazione, ha rappresentato una personalità di rilievo e di peso. Non solo all‘interno del proprio schieramento.
Certo, erano epoche diverse quelle che lo hanno visto protagonista. Tempi in cui l’ideologia di appartenenza era rifugio e meta. Ambizione e tatuaggio. Bagaglio e steccato. Tutta un’altra storia rispetto a oggi. Rispetto a quell’oggi che, soprattutto per la città di Catanzaro, si colora di una dimensione decisiva. Snodo ultimo prima di una definitiva consacrazione all’anonimato e allo sconforto. Su cui anche l’egida di capoluogo di regione rischia di sfarinarsi. È vero, la mancanza di leadership è un problema politico collettivo, appannaggio di comunità politiche e non, calabresi e non. Catanzaro non fa, dunque, eccezione.
Mancano o si nascondono le grandi agenzie culturali in cui la politica si è andata formando, e di cui avrà sempre bisogno. Il partito, il sindacato, i dopo lavoro, gli oratori, la scuola, e le università. Un tempo sedi naturali di un pensiero, di un’identità, di un’idea di comunità e di dibattito. Oggi, luoghi impalpabili per l’edificazione di un sostrato politico. Spendibile e rassicurante.
È, certamente, altrettanto vero che l’ingresso in politica della così detta società civile non sempre sia stato felice. E, forse, questo ingresso è stato possibile proprio perché si era in un’età di mezzo, segnata dall’assenza o dal tramonto dei grandi dirigenti e dei grandi capiscuola. Si era in quella stagione demonizzata, per colpe che innegabilmente c’erano, e forse, però, troppo sbrigativamente archiviata. Quando, forse, sarebbe stato preferibile un trapasso più attenuato. Rallentato. Protetto.
La politica è una campo minato, forse più dell’amministrare. Perché si compone di un agire ideale e di un guardare. Lontano. Oltre. Al di là di un tempo certo, e di uno spazio delimitato.
Ed è, forse, qui il punto nodale. Quello che la scomparsa di un’individualità forte come l’onorevole Pujia pone in evidenza. Un’individualità che si forgia in trincea, certo. Ma anche sulla scorta di contenuti che, oggi, è sempre più difficile coltivare, apprezzare, cogliere.
Ogni addio segna un vuoto. Non so se quello in cui sospendere un ponte. È un vuoto che interroga sul piano umano, prima di ogni cosa. Ed è naturale e giusto sia così. Da ospiti e azionisti di una polis, è un vuoto che, però, ci interroga anche sulla capacità di rappresentanza e di rappresentatività. Sulle idee, gli strumenti, e i progetti che questa capacità deve tessere e collazionare. E sul senso di una perdita. Che, anche in politica, è il filo conduttore di un’esistenza.
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