di Felice Foresta – Un colpo alle nostre certezze. Credo sia questo il segnale che si possa – e, forse, si debba – cogliere tra le pieghe di ogni morte. È un fatto umano la paura. Così come la morte. E di fronte alla paura e alla morte, e alla paura della morte, vacilliamo. Mettiamo da parte i nostri aneliti di intangibilità, e ci richiudiamo nel nostro guscio. È così da sempre. È così per tutti.
Ci sono morti, però, che, al netto di quelle che affettivamente sono a noi più prossime e, pertanto, ci appartengono, lasciano tracce più profonde. E la morte di David Sassoli è una di queste. Non credo che di lui si sia parlato tanto tra la gente comune durante la sua esperienza terrena che, pure, è stata luminosa, contrassegnata da traguardi prestigiosi e, soprattutto, pregna di valori importanti. Quali sono quelli che apprendi fra gli scout. E non credo neppure che lui, e forse anche le persone a lui più vicine, potessero immaginare di quanto la sua figura fosse ingombrante, nell’accezione più nobile del termine.
Ci sono morti, però, che, al netto di quelle che affettivamente sono a noi più prossime e, pertanto, ci appartengono, lasciano tracce più profonde. E la morte di David Sassoli è una di queste. Non credo che di lui si sia parlato tanto tra la gente comune durante la sua esperienza terrena che, pure, è stata luminosa, contrassegnata da traguardi prestigiosi e, soprattutto, pregna di valori importanti. Quali sono quelli che apprendi fra gli scout. E non credo neppure che lui, e forse anche le persone a lui più vicine, potessero immaginare di quanto la sua figura fosse ingombrante, nell’accezione più nobile del termine.
Il tono pacato del giornalismo
Certo, lui ha incarnato il tono pacato del giornalismo che non ha bisogno di gridare per farsi apprezzare e il volto pulito della politica che sa ergersi a servizio e sa assurgere a linguaggio universale. Ha, comunque, rappresentato la figura del vicino di casa che rassicura per la sua umana debolezza di persona comune e non per l’autorevolezza di ruolo e di posizione. La morte di David Sassoli, nella sua dolorosa tragicità come lo è ogni morte e come lo è la morte di una persona ancora, comunque, giovane, ha, soprattutto, consegnato a tutti un messaggio gravoso e gravido di significati. Perché quando muore un personaggio – anche se Sassoli tutto era tranne che un personaggio, né credo che tale volesse essere – pubblico muore anche un pezzo di noi che, attraverso quel personaggio, costruiamo la nostra alterità in un mondo a noi distante.
La morte di David Sassoli e la sete di normalità
La fragilità è tratto tipicamente umano e, si badi, non è sinonimo di debolezza. Essa, semmai, è un altro modo per declinare la delicatezza. Un lilla sulle nostre esistenze ambrate. Anche allorché ci si accosti a un tema così impegnativo e complesso come la morte. E proprio quella di David Sassoli restituisce vigore alle delicatezze di cui abbiamo bisogno. Restituisce centralità alla nostra sete di normalità in un’epoca in cui tutto è proteso al massimo della realizzazione, al massimo della remunerazione e al massimo della perfezione. Restituisce dignità alla compostezza, alla mitezza, alla sostanza. E a tutti i contenuti che vi sono sottesi.
Me ne accorgo adesso. A pezzo ultimato. Ho parlato di David Sassoli come fosse uno di casa, come se lo conoscessi, quasi fosse un compagno di scuola. Come me lo hanno fatto in molti. Sui social, nelle conversazioni da bar, al telefono. Eppure era il presidente del Parlamento Europeo. Oltre a essere stato un giornalista del TG1. Lui, però, come ogni altra grande persona, non ha bisogno dei titoli per essere ricordato. Lui, a quei titoli, ha dato un senso. Quello delle nostre certezze.