FELICE DOMENICA | L’attesa del Natale e il dolore degli altri

In una settimana si sono consumate tre tragedie diverse ma profondamente umane. Quanto ci hanno fatto riflettere? Ne abbiamo colto l’essenza più intima?
antonio trotta-alt

di Felice Foresta – Natale incombe, e noi dobbiamo essere felici. Lo dobbiamo, se credenti, perché la nascita di Cristo è un’ancora di salvezza che si rinnova. Lo dobbiamo, se padri, perché Natale è un incanto spruzzato, quasi fosse zucchero a velo, sui sogni e sui domani dei nostri figli. Lo dobbiamo, se non abbiamo che noi stessi, per gli altri. Pare un ossimoro ma non lo è. Nel nostro io, se scortichiamo a fondo, troviamo più spazio per l’alterità di quanto s’immagini. L’attesa di Natale, però, con il suo carico di aspettative e di buoni sentimenti spesso distrae. Fa passare sottotraccia incagli, piaghe, recrudescenze della memoria. Rigurgiti e sgambetti del quotidiano. Eventi, ansie e anse di umanità sempre più negletta e mortificata.

Una settimana, tre storie

Una settimana, tre storie

In questa settimana si sono susseguite consuete litanie di un dolore avvertito perché diffuso ma, forse, non compreso. E così, fugata la notizia, che magari i social colorano di cuori e abbracci, il dolore rimane immoto. Nel feudo profanato degli intimi che lo patiscono. Lontano, però, da quella dimensione didascalica ed educativa che, pure, deve avere. Perché il dolore è un’appendice dell’essere. La meno ambìta, la più costosa tuttavia. In un’occasione dì svago ha incontrato la morte un tutore dell’ordine sociale. Quello che tutti agogniamo e pretendiamo. Nell’assolvimento di un dovere che, come ogni dovere, pare confliggere con lo svago che un ragazzo nemmeno quarantenne era chiamato a tutelare. In un attimo di disperazione e sconforto un uomo ha visto consegnarsi agli strali della legge. E proprio dalle parole che, tante volte, saranno state capaci di attenuare il rigore e il peso della legge. Una lavoratrice si è vista recapitare il ben servito attraverso una piattaforma. Senza ai e ne bai. Senza un briciolo di forma declinata nell’umano sentire. Senza rispetto per la sua militanza aziendale, per la sua vulnerabilità di separata e madre, per il suo genere. Quel genere che aspira a una parità stesa al vento ma, in realtà, assai poco convintamente riconosciuta.

Fermarsi di fronte al dolore

Tre storie diverse. Angoli di vita diversi. Dolori e forme di dolore diversi. Però, qualcuno è pronto ad obiettare. Ognuno piange i suoi morti, i suoi peccati, il suo destino. È vero. Forse, no? No, decisamente no. Perché l’altro rimane ancora il terreno d’elezione della propria affermazione. Del proprio completamento. Della propria e consapevole nascita. Di quel dolore masticato da altri in questa piovosa settimana di inizio dicembre quanto, allora, ci è rimasto? Quanto quel dolore è stato capace di farci riflettere, se non cambiare? Quanto di questi lutti, così diversi ma così profondamente umani, abbiamo colto l’essenza più intima? È difficile dirlo. Magari ci saremo sforzati dì mondare da queste tre storie contaminazioni, pregiudizi e suggestioni. Se, però, non saremo stati capaci di fermarci, di pensare quanto sia caduca la ricerca di noi stessi e della nostra felicità, e di leggere queste storie oltre la cronaca, anche questa volta avremo fatto cilecca. Avremo comprato il regalo perché, in attesa di Natale, si fa così. Ma quel regalo lo avremo già consegnato all’irruenza della menzogna. Quella peggiore. Quella verso noi stessi.

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