di Felice Foresta – La mia felicità da bambino ha avuto due porte. A giugno e a dicembre. Sì, è vero, in fondo un po’ per tutti i bambini era così. A giugno iniziavano le vacanze estive, e a dicembre c’erano quelle di Natale. Per me, però, era un po’ diverso. E non perché a giugno festeggi il compimento dei miei anni. A fine giugno e a inizio dicembre vivevo una festa. Una festa che sentivo tutta mia, che era tutta mia. I miei compagni di scuola e i miei amici d’infanzia non l’avevano mai vista dal vivo. Forse, non la conoscevano neppure. I più studiosi, magari, la lambivano a settembre, nei versi e tra i pastori di D’Annunzio. Ai bambini di città, però, piacevano, e forse piacciono ancora, solo i pastori del presepio. A me no. A me sono sempre piaciuti i contadini e i pastori veri. I pecorai, i caprai e i bovari veri. Quelli che hanno i calli sulle dita, le rughe sul volto, e il cuore di velluto. Quelli che alla festa che sentivo mia davano corpo e anima. Una festa che, per me, è stata soprattutto un privilegio. La scansione di un tempo fermo. Altro. Un tempo dove le coordinate le trovi solo camminando. Adesso, forse, in un app. Non è la stessa cosa, però. Perché la tecnologia aiuta tanto, è fuor di dubbio, ma tu rimani fermo. No, quella festa ti porta oltre. Come dice il suo stesso nome. Transumare è andare oltre. Oltre l’humus, oltre la terra. E a me la transumanza mi ha sempre portato oltre. Oltre anche la realtà. Nel mondo della fantasia. E, se vogliamo, nel ventre anche del mito. Ercole, il semidio figlio di Giove e Alcmena, si dice fosse assai popolare tra le genti italiche del centro sud. Ne sono segni i relitti dei santuari a lui dedicati, come quello di Sulmona. Eracle aveva un grande merito. Non solo accompagnava, ma proteggeva pure le greggi durante la transumanza. Che era e che rimane una festa.
Transumanza rituale protagonista della storia dell’umanità
Transumanza rituale protagonista della storia dell’umanità
E anche un rito, oggi addirittura custodito dall’Unesco (LEGGI QUI). La transumanza, però, è soprattutto un pezzo di storia. La storia dell’uomo e dell’animale che è una storia parallela. Non potrebbero camminare da soli. Nessuno dei due. La storia dell’uomo e dell’animale è una storia parallela. Lungo. Un cammino inverso. Per chi l’ha vissuta, la transumanza è un’esperienza straordinaria. Cesella il legame fra l’uomo e il territorio e narra di una complicità senza pedaggio, come quella dell’uomo con gli animali. È materia su cui ci studiano gli antropologi e gli economisti. A me basta ricordare l’incantesimo della notte prima. Per sognare ci vuole poco, basta anche solo la ninna nanna dei campanacci. La transumanza è, dunque, la storia di un’alleanza. Una cerimonia ancestrale. Il lucernario sulle pareti del passato. La transumanza non è solo, però, un rosario di umori fra le pieghe dell’avventura. È un compasso di luci in cui si rannicchia la certezza dell’andare. L’ho detto già. È un abbecedario in cui ci leggi il mito e la storia. C’incroci pure la matematica, però. Il vaccaro conta i vitelli. Il pecoraro le pecore. Il capraio le capre. Tutti contano gli anelli di una vita che si rinnova tra gli inverni della memoria. Camminandosi a fianco. Come due rette. Che sono simbolo e approdo. Ponte e sentiero.