Giorno dei Defunti, quando la morte insegna a crescere

"La morte è un fatto umano. Il più ineluttabile. Il più contraddittorio. La morte educa perché insegna a crescere"
Rocco Salerno bagnara

di Felice Foresta – La morte è un fatto umano. Il più ineluttabile. Il più contraddittorio. La morte educa perché insegna a crescere. Eppure, difronte a una morte che ci tocca, retrocediamo. Torniamo bambini. Forse anche peggio. Quasi avvolti nel liquido amniotico. La morte chiude un cerchio, certo. Ma è capace di rinnovarlo. Arriva al confine della vita, e ne esalta l’essenza. Il significato più autentico. Il stesso suo scopo. Oggi, abbiamo tutti un morto da piangere. Anche di più. Abbiamo un sorriso spento che non cogliamo. Una ruga sulla fronte. Un’increspatura tra le pareti del cuore. Ogni morte che ci ha segnato è stata un pezzo di strada fatta insieme. Con lei. Già, con la nostra di morte. Con la sua idea. La sua commozione. Ecco perché morte è un vocabolo da usare con premura. Con garbo. Senza disprezzo. Con rigore e con rispetto.

Ogni morte è una cesura. Un taglio che ci procuriamo. Un pezzo di noi che leghiamo a un destino che non ci appartiene. Ogni morte è un lasciapassare per la solitudine. Perché si muore soli. Quasi fossimo su un ponte di notte. Senza tuo padre e senza tua madre. E senza i tuoi figli. Ecco perché dobbiamo credere alla vita. Qualcuno essa sia. Del peccatore e del santo. Del colpevole e dell’innocente. Dobbiamo credere anche agli spasmi e agli inestetismi di esistenze grigie o contraffatte. Senza giudizi e senza morali. Senza riserve e senza rinunce. Perché, quando ci accorgeremo che ogni sforzo è vano, ogni strada è in salita, ogni altro è un’ombra, sarà troppo tardi. E avremo offeso chi è partito prima.

Ogni morte è una cesura. Un taglio che ci procuriamo. Un pezzo di noi che leghiamo a un destino che non ci appartiene. Ogni morte è un lasciapassare per la solitudine. Perché si muore soli. Quasi fossimo su un ponte di notte. Senza tuo padre e senza tua madre. E senza i tuoi figli. Ecco perché dobbiamo credere alla vita. Qualcuno essa sia. Del peccatore e del santo. Del colpevole e dell’innocente. Dobbiamo credere anche agli spasmi e agli inestetismi di esistenze grigie o contraffatte. Senza giudizi e senza morali. Senza riserve e senza rinunce. Perché, quando ci accorgeremo che ogni sforzo è vano, ogni strada è in salita, ogni altro è un’ombra, sarà troppo tardi. E avremo offeso chi è partito prima.

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