Gratteri: “C’è chi ha chiuso un occhio sulla gestione allegra di questi detenuti” (SERVIZIO TV)

“Si tratta di un’indagine importante in cui i carabinieri hanno ricostruito episodi risalenti a diversi anni fa. Sarebbe bastato che altri avessero messo in ordine le carte prima per fare quadrato su questa vicenda”. Non usa mezzi termini il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri per denunciare la responsabilità di chi  ha consentito agli assistenti capo della penitenziaria Luigi Frassanito, 56 anni di Cosenza e Giovanni Porco 53 anni, di Cosenza, raggiunti da un’ordinanza di misura cautelare in carcere, per concorso esterno in associazione mafiosa, emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro Massimo Furciniti su richiesta del sostituto procuratore distrettuale Camillo Falvo, di rendere la vita facile ai detenuti del carcere di Cosenza, appartenenti alle cosche “Lanzino Ruà Patitutti”, “Bruno-Zingari” e “Rango-Zingari”.  “Detenuti a cui si è consentito- ha aggiunto Gratteri- di portare droga in carcere, di avere contatti con l’esterno, in particolare con i sodali liberi e c’è chi ha consentito che detenuti di Cosenza restassero nel carcere bruzio, cosa che non doveva accadere”.  Un’attività complessa portata avanti dai carabinieri  e seguita passo passo dalla Dda di Catanzaro. “ Sono stati messi a sistema una gran mole di dati, derivanti anche da sentenze e dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia (Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Luca Pellicori, Ernesto Foggetti, Mattia Pullicanò, Franco Bruzzese, Vincenzo De Rose, Francesco Noblea e Luciano Impieri) – ha affermato il colonnello Piero Sutera comandante provinciale del carabinieri di Cosenza- rendendo possibile una serie di riscontri, non facili da reperire, perché facciamo riferimento ad atti datati nel tempo”. Riscontri documentali e investigativi che hanno reso possibile ottenere un quadro a “tinte fosche su chi all’interno del carcere  garantiva- ha detto ancora Sutera- la leadership dei clan, veicolando ai sodali liberi dei messaggi anche mediante “pizzini”, per sviare indagini in corso su omicidi o per impartire disposizioni sugli imprenditori destinatari di attività estorsiva, per recuperare somme dovute per pregresse forniture di stupefacenti o ancora per far filtrare notizie su reclusi che intendevano avviare percorsi con i collaboratori di giustizia. C’era una piena libertà di movimento all’interno dell’istituto penitenziario soprattutto per i detenuti di maggiore caratura, che avevano la possibilità di riunirsi nelle celle, benchè sottoposti a diverso regime carcerario, o ricevere stupefacenti, alcolici generi alimentari o altri prodotti utili a rendere più confortevole la detenzione”. Anche da altre attività investigative era emerso il dato che altri detenuti avessero avuto possibilità di contatti con l’esterno. “Il fatto attiene anche alla veicolazione del nome del difensore- ha sottolineato il comandante del reparto operativo di Cosenza Michele Borrelli–  che doveva essere nominato per il procedimento penale per il quale l’arrestato doveva rispondere. C’era una sorta di parlatorio in quella casa circondariale”. Una facilità di comunicazione dall’interno all’esterno  e viceversa emerso in varie circostante, una tra le tante “il caso di un imprenditore- ha raccontato il comandante del nucleo investigativo Giuseppe Sacco– convocato all’esterno delle mure perimetrali e attraverso le finestre gli era stato imposto la restituzione di una somma di oltre 100mila euro. I dettagli nel servizio tv di Calabria7

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