di Alessandro De Salvo* – Prim’ancora scoppiasse il conflitto in Ucraina un’altra guerra era già in atto: quella dei prezzi. L’aumento vertiginoso del costo delle materie prime, innescato in buona parte da logiche speculative che hanno caratterizzato la ripresa post pandemica che è seguita al blocco pressoché totale delle attività produttive, ha dato il via ad una forte inflazione. Ma di che si tratta? Le dinamiche dei prezzi possono riguardare tanto il lato della domanda quanto quello dell’offerta. In questa fase stiamo osservando un’inflazione dal lato dell’offerta, segnatamente da costi, non condizionata cioè dalla domanda di beni e servizi cui normalmente l’offerta si adegua. Esemplificando: se la domanda di beni e servizi aumenta, fino a quando il livello dell’offerta non si adegua i prezzi tendono a salire e viceversa. Attualmente siamo fuori da questo ordine di cose.
Quel circolo vizioso da evitare riducendo le tasse sui redditi
Quel circolo vizioso da evitare riducendo le tasse sui redditi
Cio’ che sta accadendo è che i costi di produzione sono notevolmente aumentati ed, a prescindere dalla domanda, il prezzo dei prodotti finiti è conseguentemente schizzato verso l’alto. Il conflitto in atto acuisce questa dinamica. Ciò comporta delle chiare ed evidenti conseguenze per i principali attori del sistema economico (famiglie e imprese). A fronte dell’aumento dei costi di produzione le imprese si domandano se i prodotti finiti, inflazionati, saranno comunque venduti, considerando la riduzione del potere di acquisto delle famiglie. Ciò potrebbe generare un circolo vizioso: riduzione della produzione industriale, aumento della disoccupazione, ulteriore compressione dei redditi e della capacità di spesa. Bisogna evitare che ciò avvenga. Posto che in Italia il livello particolarmente elevato del risparmio privato potrebbe comunque sostenere, in una certa misura, la domanda, la via più efficace è agire sul fronte della politica fiscale, riducendo la tassazione sui redditi, con l’obiettivo di contenere la perdita del potere di acquisto e così favorire il mantenimento della domanda interna. Un messaggio chiaro in tal senso darebbe fiducia ad imprese e famiglie e garantirebbe, nonostante tutto, una certa stabilità al sistema economico. Le minori entrate fiscali dovranno essere finanziate da nuovo debito e, pertanto, la Bce dovrà continuare a fare da scudo garantendo di fatto i mercati, acquistando, all’occorrenza, debito sovrano. Come ben sa il nostro attuale Premier, infatti, l’elevato debito pubblico non costituisce alcun fardello se la banca centrale emittitrice della valuta nella quale il debito è denominato lo garantisce.
Il “doping” energetico e le contromisure da adottare
Tuttavia tali misure potrebbero non bastare. In un’economia aperta, come quella attuale, è fondamentale che le imprese italiane non subiscano un ulteriore svantaggio competitivo, rispetto alle concorrenti estere, segnatamente a causa dell’aumento dei costi energetici. In altre parole le imprese che operano in Paesi dove l’impatto dell’incremento dei costi dell’energia è ridotto per via di una maggiore indipendenza piuttosto che per effetto di provvedimenti fiscali orientati a sterilizzare, almeno in parte, detto aumento, si trovano avvantaggiate rispetto alle nostre, perché possono collocare sui mercati internazionali i loro prodotti a prezzi inferiori a quelli praticabili dalle aziende italiane. Occorre, pertanto, ed al più presto, agire incisivamente ed in maniera mirata, prevedendo per le nostre imprese un pacchetto di aiuti fiscali che incida sia direttamente sulla bolletta energetica sia sulla riduzione del peso fiscale generale.
*Economista e scrittore