Le estorsioni della ‘famiglia’ Piromalli nell’area di Gioia Tauro venivano applicate in maniera sistematica su tutte le attività economiche, come segno di controllo del territorio. Le indagini hanno ricostruito, anche per questo tipo di attività criminale, “la maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica”, e i proventi finivano in massima parte nella disponibilità della ‘casa madre’, spesso consegnati alle donne. “Tra le forme di aggressione del territorio, gli esponenti della cosca attuavano un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette ‘guardianie’, estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentanze della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle colture”. Particolarmente significativa l’attenzione della cosca Piromalli sul condizionamento del mercato del lavoro nella Piana di Gioia Tauro, con l’imposizione delle assunzioni a beneficio degli appartenenti alla cosca. Gli inquirenti hanno infatti documentato la vicenda di un imprenditore costretto ad assumere un appartenente al sodalizio criminale in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. “Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull’apporto lavorativo dei malavitosi assunti”. I Piromalli, ancora, avevano interessi nei bandi per le aste giudiziarie degli immobili ricadenti nella zona industriale prospiciente il porto di Gioia Tauro, “beni banditi all’incanto verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare”.
Il summit dei Piromalli al cimitero di Gioia Tauro
Il summit dei Piromalli al cimitero di Gioia Tauro
Secondo gli investigatori, che hanno raccolto numerose intercettazioni ambientali e telefoniche, i Piromalli puntavano a chiudere la fase dello scontro armato con i cugini Molè riprendendo “il partenariato criminale” con gli ‘scissionisti’ per potere efficientare i traffici illeciti e mandare un messaggio inequivocabile alle altre cosche della Piana di Gioia Tauro sulla ritrovata unità. L’occasione per far ripartire il dialogo, dopo decenni di rottura contrassegnata da eclatanti omicidi, come quello di Rocco Molè, è il controllo del mercato ittico di Gioia Tauro. Lo spunto investigativo è fornito da una ritorsione – l’incendio di un peschereccio nella vicina Palmi – messo in atto dai Molè poiché il proprietario aveva disatteso le imposizioni mafiose relative alla gestione dell’intero settore nella Piana di Gioia Tauro. “La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima – si legge nell’ordinanza del gip – invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli. Una richiesta che, dietro lauti compensi, è stata concessa dai vertici della consorteria. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali di Gioia Tauro, il cui punto apicale è stato rappresentato da un summit effettuato all’interno dell’area cimiteriale di Gioia Tauro.