Ciascun membro della cosca Carpino alias “Tatraculo” e del gruppo dei Cervesi, con epicentro nel territorio di Petronà, Cerva e nei comuni limitrofi e con ramificazioni in Liguria, Piemonte, Lombardia, Francia, operanti sotto l’influenza dei locali di ‘ndrangheta di Mesoraca e Isola Capo Rizzuto, aveva un ruolo ben preciso, delineato nella richiesta di misure cautelari avanzata dai sostituti della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno e Debora Rizza nell’ambito della maxi operazione Karphantos. Salvatore Carpino, detenuto dal 2014, è uno dei capi dell’ominima cosca, assume le decisioni più rilevanti con il fratello Francesco, con Mario Gigliotti, Giuseppe Rocca e Domenico Colosimo, partecipando, fino al momento dell’arresto, alle riunioni di ‘ndrangheta con gli esponenti delle altre cosche, come quella di Mesoraca. Insieme ad altri sodali e al germano Francesco, ha vendicato l’omicidio del fratello Alberto, avvenuto il 4 febbraio 2000 e per questo arrestato, trovato con fucile a canne mozze calibro 12, che portava con sè per la commissione dell’assassinio di Raffaele Bubbo.
Il capo che protegge la cosca anche dal carcere
Il capo che protegge la cosca anche dal carcere
Svolge, un ruolo fondamentale nella risoluzione della faida tra i Carpino e i Bubbo di Petronà, nella quale è stato assassinato il fratello Alberto, storico capo cosca, impartendo precise disposizioni agli altri associati che hanno preso parte alle riunioni dì ‘ndrangheta, presiedute dagli esponenti di vertice della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto. Anche se dietro le sbarre nel carcere di Marassi continua ad essere riconosciuto da tutti i sodali capo e punto di riferimento, in grado di proteggere gli altri affiliati. Mario Gigliotti, inteso “Capezza”, promotore e organizzatore della famiglia Carpino è un tramite tra la stessa cosca Carpino e le ‘ndrine degli Arena di Isola Capo Rizzuto, dei Mancuso di Limbadi, dei De Stefano – Tegano di Reggio Calabria, dei Trovato di Marcedusa ed operante in Lombardia, dei Pane di Belcastro, con i componenti del gruppo di Cerva e ha rapporti con il gruppo criminale di etnia rom di Catanzaro.
Dirige le azioni concrete da compiere nel territorio di Petronà e comuni limitrofi, impartendo puntuali disposizioni agli altri associati a lui subordinati. Prende parte ai riti di affiliazione dei nuovi associati e partecipa con gli altri sodali alle estorsioni, controlla, con Giuseppe Rocca e Carmine Brescia, il commercio delle castagne nella zona, facendo da intermediario tra i venditori e i potenziali acquirenti, dirime le controversie che gli vengono sottoposte dai cittadini di Petronà, si adopera in occasione delle elezioni regionali per procurare voti ai candidati di riferimento; reinveste parte degli utili delle attività illegali della cosca in operazioni commerciali lecite, gestite da imprenditori compiacenti e contribuisce al sostentamento degli associati durante i periodi di detenzione carceraria.
Il collante con i Mancuso, i Farao e il clan dei Gaglianesi
Giuseppe Rocca con la dote della Santa è il collante tra la cosca Carpino e la ‘ndrangheta dei Ferrazzo di Mesoraca, dei Mancuso di Limbadi, dei Farao Marincola di Ciro, dei Gaglianesi di Catanzaro, degli Scerbo di San Leonardo di Cutro e del gruppo di Cerva. In un momento di particolare fibrillazione per l’associazione determinato dalla momentanea decisione di Danilo Monti del gruppo Cerra, di collaborare con la giustizia, ha acquisito, tramite Lidio Elia e Giuseppina Trovato, quante più informazioni possibili sui contenuti delle dichiarazioni rese, per garantire l’esistenza e l’operatività dell’organizzazione ‘ndranghetistica, eludendo le attività investigative in corso. Gestisce con Nicolina Cavarretta, ex moglie di Alberto Carpino e compagna di Giuseppe Rocca il mercato della droga e tramite Beniamino Bianco, garantisce l’influenza della cosca sulla Silea Spa, società municipalizzata che gestisce la raccolta dei rifiuti per i comuni Lecchesi, di cui Bianco è stato responsabile tecnico, commerciale e rappresentante legale, riuscendo a far assumere persone a lui vicine.
L’azionista della cosca Carpino
L’azionista della cosca Carpino è Domenico Colosimo, inteso “ndrina”, che, secondo il carteggio dell’inchiesta, condivide consapevolmente il programma criminale e assume le decisioni più rilevanti con Salvatore, Francesco Carpino, Mario Gigliotti e Giuseppe Rocca. In particolare, un ruolo fondamentale nella risoluzione della falda tra i Carpino e i Bubbo di Petronà, nella quale si colloca l’assassinio di Alberto Carpino e il ferimento di Giuseppe Rocca, prendendo parte alle riunioni di ‘’ndrangheta, presiedute dagli esponenti di vertice della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, rinunciando a vendicarsi per l’attentato subito il 12 maggio 2004 a Petronà, per adeguarsi alla pace imposta tra le cosche Carpino e Bubbo. Gli uomini di fiducia di Mario Gigliotti sono Giovanni Rizzuti e Carmine Brescia, inteso Lava: il primo, nel periodo in cui Gigliotti è ristretto agli arresti domiciliari gli porta ambasciate dall’esterno, mentre il secondo, nipote di Mario Donato Ferrazzo, svolge la funzione di tramite tra la cosca Carpino e le altre ‘ndrine, veicolando informazioni di rilievo tra gli associati.
Le talpe che proteggono la cosca
Santo Marchio inteso “Pietratunda”, è partecipe dell’associazione mafiosa Carpino e con Gigliotti e Rocca, assume le decisioni più rilevanti da compiere nel territorio di Petronà. Anche lui per la Dda è un tramite tra la cosca di appartenenza e il gruppo di Cerva, veicolando le informazioni di rilevo tra gli associati, fa valere quando necessario la forza di intimidazione propria della ‘ndrangheta, come quando con Gigliotti si reca a Sersale per interloquire con Vincenzo Raffaele, reo di aver fatto richieste sul territorio, spaventandolo. Ma ci sono anche altre talpe che proteggono la cosca: Luigi Colosimo, che acquisisce tramite Giuseppina Trovato, compagna di Danilo Monti, durante la sua collaborazione con la giustizia quante più informazioni possibili sui contenuti delle sue dichiarazioni e Vincenzo Antonio Gervasi, che attraverso altri associati, aiuta la cosca depistando le indagini in corso. Gervasi provvede al sostentamento economico del sodale Danilo Monti e dei suoi familiari, interferisce nella vita politica del Comune di Cerva, partecipa alle attività illecite, in particolare alle estorsioni, reinvestendo i proventi delle attività illecite in attività imprenditoriali lecite fittiziamente intestate a terzi.
Monti e la collaborazione con la giustizia interrotta dalla compagna
Danilo Monti, attualmente detenuto è un sodale del gruppo di Cerva, contigua alla cosca Carpino, battezzato alla presenza di Gigliotti, Rocca e Michele Griffo. Ha contatti con elementi di vertice della cosca Carpino di Petronà, storicamente alleata al gruppo di Cerva, si dedica alle alle estorsioni, alle rapine e ai reati in materia di stupefacenti. Dopo l’arresto nell’anno 2018 per l’omicidio di Francesco Rosso, inizia una breve collaborazione con la giustizia, interrotta, per l’intervento della sua compagna Giuseppina Trovato. E’ lei, per la Dda, la donna che porta all’esterno del carcere i messaggi di Danilo Monti, scritti su fazzolettini consegnati durante i colloqui, tenendolo costantemente aggiornato sui rapporti con i sodali, rassicurandolo sul fatto che non aveva da temere per la sua incolumità; mantiene i rapporti con i sodali, sia nella provincia di Lecco, sia in Calabria, informando Rocca su chi l’aiutasse economicamente e su chi non l’aiutasse. Gianfranco Gervasi del gruppo Cerva, continua ai Carpino, è uomo di fiducia del fratello Vincenzo Antonio, per il quale fa da tramite con i cervesi ogni qualvolta sia necessario; prende parte ai riti di affiliazione dei nuovi associati, partecipava al progetto di vendetta per l’omicidio del fratello Giuseppe, avvenuto il 9 luglio 2003.
Un piano che prevede l’uccisione di uno dei fratelli Bubbo, tuttavia non realizzato per la pace imposta alle parti dagli Arena di Isola Capo Rizzuto, è uno uno degli anelli di congiunzione tra la famiglia del sodale Monti e gli altri associati. Veicola le informazioni tra i sodali ed ha contatti diretti con elementi di vertice della cosca Carpino di Petronà, storicamente alleata con il gruppo di Cerva. In tutto questo contesto Claudio Gentile, pur essendosi trasferito nel lecchese mantiene continui contatti con gli affiliati che vivono a Cerva e Petronà, incontrando i componenti di entrambe le famiglie e quando viene esaminato come teste nel processo per l’omicidio del macellaio Francesco Rosso mantiene un atteggiamento reticente su tutto ciò che riguarda l’imputato Monti e gli altri associati, a tutela dell’associazione e dei suoi affiliati.
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