“L’origine degli Altari della reposizione risale al tardo Medioevo quando si sviluppa la devozione all’Eucaristia e quando cominciano ad essere presenti anche delle correnti eretiche nella vita della Chiesa che negano la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Comincia così questa tradizione di una custodia eucaristica, organizzata con grande devozione, con grande uso di fiori e con una liturgia molto ricca dal punto di vista dell’adorazione”. A parlare, nella sera di Giovedì Santo, è don Salvatore Cognetti, vicario generale dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace. Il sacerdote espone le origini del rito dei “sepolcri” e chiarisce come rispetto a tale definizione sia in realtà più corretta quella di “Altare della reposizione”.
Dall’Altare della reposizione al Sepolcro
Dall’Altare della reposizione al Sepolcro
“Il divieto dell’uso delle campane – spiega il religioso – e lo spogliamento dell’altare al termine della celebrazione, nel corso del tempo diedero al popolo l’idea che si stava entrando in un momento di tristezza. Questo tipo d’impostazione portò all’identificazione dell’Altare della reposizione con il sepolcro e diede inizio a questa tradizione dei “Sepolcri”. Dopo il Concilio Vaticano, la Chiesa ha ripreso in pieno la giusta considerazione dell’Altare della reposizione, vietando segni che potessero ricordare la morte come l’uso del colore viola o di croci velate”. “Adesso l’Altare della reposizione è quella solenne custodia eucaristica dove le sacre specie vengono riposte per essere offerte all’adorazione dei fedeli e vengono conservate per essere distribuite, il giorno dopo, durante la celebrazione pomeridiana della Passione del Signore”.
Momento più alto della spiritualità del popolo
“Si tratta – per il vicario generale – di una tradizione che richiama molto la partecipazione del popolo e che nel corso della storia è andata, al pari di altre, riempendosi di contenuti che non sono propriamente teologici ma più devozionali. In ogni caso, questo è uno dei momenti più alti della spiritualità del popolo cristiano: la notte del Giovedì Santo le nostre città sono attraversate da tanti pellegrini che girano le varie chiese e stanno in preghiera. È un momento molto bello della vita della comunità cristiana”.
Fedeli in raccoglimento e adorazione
E non a caso, sono stati numerosissimi i catanzaresi che ieri sera si sono recati in raccoglimento e preghiera a visitare le chiese cittadine. “È un segno di rinascita e mi aiuta ad andare avanti – afferma una fedele -. Adoro la Pasqua molto più del Natale perché trasmette un senso più profondo della vita sulla terra”. “È un’esperienza importante, andremo a visitarli con tutta la famiglia e porteremo i bambini. Il periodo pasquale è quello più importante e più vissuto rispetto a quello delle festività natalizie”, conferma un altro catanzarese che si appresta a visitare la chiesa di quartiere. Per un sacerdote “il Giovedì Santo dovrebbe rappresentare per i cristiani un momento importante di fede. Cristo si è dato per noi. Non è morto in questo momento ma si offre ai fedeli che pregano nella sera in cui lui ha lavato i piedi agli apostoli dandoci la possibilità di capire che noi tutti possiamo donare qualcosa”. (m. s.)