La prima sezione della Corte di Cassazione, ieri, ha accolto il ricorso proposto dagli avvocati Sandro D’Agostino e Giuseppe Di Renzo, nell’interesse dell’imputato Gaetano Emanuele, 47enne di Ariola di Gerocarne ritenuto il boss delle Preserre vibonesi. La Cassazione si è pronunciata a favore di Emanuele, che insieme al fratello viene identificato come elemento al vertice dell’omonimo clan, annullando con rinvio la decisione della Corte di Appello di Catanzaro che aveva negato la possibilità di sommare la custodia cautelare subita dal detenuto in seguito al riconoscimento della continuazione fra due sentenze in un’unica pena, qualora una delle sentenze avesse una contestazione temporalmente successiva alla detenzione già patita. Gaetano Emanuele potrebbe vedere diminuita la pena in forza di quanto già scontato.
Questione puramente tecnica
Questione puramente tecnica
“Si trattava – dichiarano gli avvocati difensori di Gaetano Emanuele in una nota – di un errore caratterizzato da eccessivo formalismo perché il divieto non riguardava un periodo di detenzione scontato senza titolo, e poiché la valutazione era limitata al solo dato formale della contestazione cosiddetta aperta, senza la verifica in concreto di quando le condotte relative a un reato permanente siano state poste in essere. La questione, puramente tecnica, può aprire le porte un’importante novità in materia di esecuzione delle pene di reati permanenti (quali i reati associativi), nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, imponendo all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale”.