Il caso Tortora 40 anni dopo, incastrato da falsi pentiti. “Riforma contro tutti gli errori giudiziari”

Il giornalista, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e poi in quello di Bergamo, scrisse numerose lettere per proclamare la sua innocenza

Alle 4 di notte del 17 giugno di 40 anni fa il giornalista Enzo Tortora, uno dei presentatori televisivi Rai più popolari in quel momento (prima di ‘Portobello’, aveva condotto la ‘Domenica Sportiva’ e la prima edizione di ‘Giochi senza frontiere’), venne arrestato dai carabinieri per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Un arresto, cristallizzato, tra l’altro, da una foto che fece il giro del mondo e che ritraeva Tortora all’uscita in manette dal comando del Reparto Operativo. L’inchiesta della procura di Napoli scosse il mondo dello spettacolo, turbò l’opinione pubblica (il programma tv ispirato al celebre marcatino londinese era seguito da 26 milioni di spettatori) e divise il Paese intero tra colpevolisti e innocentisti.

Incastrato dai falsi pentiti

Incastrato dai falsi pentiti

Tra “falsi pentiti”, alcuni dei quali legati alla Nuova Camorra Organizzata, e “falsi testimoni”, furono quasi venti le persone che tirarono in ballo Tortora indicato quale corriere di stupefacenti per conto della NCO. Accuse che i magistrati partenopei dissero di aver vagliato e riscontrato con attenzione. Il giornalista, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e poi in quello di Bergamo, scrisse numerose lettere per proclamare la sua innocenza e solo dopo sette mesi di detenzione ottenne gli arresti domiciliari nella sua casa di Milano. Eletto eurodeputato del Partito Radicale il 17 giugno 1984, il 20 luglio 1984 tornò in libertà e annunciò che avrebbe chiesto al Parlamento europeo di concedere l’autorizzazione a procedere nei suoi riguardi.

Rinunciare all’immunità

L’autorizzazione fu data il 10 dicembre. Rinviato a giudizio, il 4 febbraio 1985 Tortora comparve davanti al tribunale di Napoli e ribadì la sua estraneità ai fatti contestati. Ma il 17 settembre dello stesso anno i giudici si pronunciarono per la sua condanna a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Sentenza poi ribaltata il 15 settembre 1986 dalla corte di appello di Napoli: Tortora fu assolto con formula piena e i pentiti ritenuti non credibili. “È la fine di un incubo”, disse il presentatore che divenne il simbolo dell’errore giudiziario. A mettere la parola fine all’intera vicenda fu la prima sezione penale della Cassazione il 13 giugno 1987. Ma meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, Enzo Tortora morì per un cancro ai polmoni. Le lettere scritte durante la detenzione e indirizzate alla famiglia furono pubblicate nel 2002 dalla figlia Silvia (deceduta il 10 gennaio 2022 a 59 anni), in un libro dal titolo ‘Cara Silvia’. Lei, così come la sorella minore Gaia, si è sempre battuta per riabilitare la figura del papa’ e sollecitare una riforma del sistema penale che scongiurasse il ripetersi di altri, clamorosi, errori giudiziari. (AGI)

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