di Giovanni Bevacqua – Nonna Etta ha calato per l’ultima volte la saracinesca. Dopo 10 lunghi anni di attività, tra riconoscimenti e clienti sempre più affezionati, il ristorante-pizzeria di Botricello, nel Catanzarese, non ce l’ha fatta contro il Covid. Solo che la sua morte non verrà conteggiata dai bollettini di Regione e Protezione civile. Passerà inosservata agli occhi di chi avrebbe avuto il dovere di fare qualcosa perché ciò non avvenisse. Ma oltre alle parole tanto Nonna Etta quanto gli altri imprenditori del settore ristorazione hanno visto ben poco. Possiamo anche quantificare ciò di cui stiamo parlando: 3200 euro per tutto il periodo di chiusura forzata. Sono questi i famosi ristori di cui si è parlato spesso in questi mesi e che avrebbero dovuto consentire a Gregorio di superare questo momento di difficoltà per sostenere i costi del suo locale. Una cifra ridicola per un imprenditore che deve far fronte alle spese vive di un ristorante con 4 dipendenti a carico. Bastano affitto e bollette per essere in rosso. E pur provando a rivolgersi alle banche – come Gregorio ha fatto – si corre il rischio di trovarsi di fronte a un muro. Neanche i 25mila euro garantiti dallo Stato e annunciati in pompa magna durante il primo lockdown. Lui, come tanti altri, si è visto chiedere l’accensione di un fido per avere la concessione di un piccolo prestito. Quindi garanzie personali a fronte di una chiusura obbligata da qualcun altro.
“Una decisione sofferta”
“Una decisione sofferta”
Fatto sta che Nonna Etta domenica ha chiuso definitivamente i battenti e oggi vende tutto. Gregorio, che per fortuna ha anche un’altra attività nell’ambito della Formazione, ha deciso di dire basta. Lui che ha iniziato 10 anni fa con un piccolo locale da asporto e anno dopo anno ha iniziato ad avere prima 20 posti a sedere, poi 50 e poi ancora 100. Fino alle attuali 120 sedute che il Coronavirus ha spazzato via. “È stata una scelta sofferta – ci spiega – ma non riuscivamo più a sostenere le spese di un’attività che faceva giusto qualche piatto nel weekend. Noi che eravamo abituati a sfornare 50/60 pizze il sabato e 30 la domenica”.
Decisioni sbagliate: perché uniformare gli orari di chiusura in tutta Italia?
Nonna Etta era diventata un punto di riferimento non solo per Botricello, ma anche per i Comuni vicini, al punto che Gregorio poco più di un anno fa ha investito 76mila euro per ristrutturare il locale e renderlo sempre più al passo coi tempi. Un investimento che ormai è andato perduto e non recupererà più. Perché se dopo il primo lockdown, “stringendo le spalle” è riuscito a rimettersi in pista grazie anche al lavoro estivo, questa seconda ondata ha segnato definitivamente la fine. “Non si può pensare che solo con l’asporto un locale come il nostro possa andare avanti” commenta amareggiato Gregorio. Così come non si può pensare che in Calabria si possa fissare la chiusura anticipata alle 18. “Noi lavoriamo solo la sera – spiega ancora – e farci chiudere alle 18 è come lasciarci chiusi”. La strada da seguire avrebbe dovuto essere un’altra: “ogni regione doveva avere i suoi orari di chiusura e apertura”. Conformare le chiusure in tutta Italia ha creato un gap difficile da colmare.
La chiusura di Nonna Etta è solo una tra le tante
Questa è la storia di Nonna Etta ma è anche quella di tanti altri ristoranti, pub e pizzerie chiuse da tempo e che forse non apriranno più. E se Gregorio ha la fortuna di avere un’altra attività, su cui è stato bravo a investire in questo anno difficile, per molti altri ristoratori non è così. Molti vivono solo delle entrate del proprio locale. E se il locale è chiuso – di conseguenza – non vivono più.
Il Coronavirus uccide, è vero. Fare finta di nulla non si può e farlo sarebbe folle ancora più che sbagliato. Ma di queste “morti” nessuno sta tenendo conto…