di Sergio Pelaia – È destinata, in un senso o nell’altro, a far discutere parecchio l’ordinanza con cui il giudice del lavoro di Catanzaro, Francesco Aragona, ha bocciato, ritenendolo infondato, il ricorso presentato da un’infermiera no vax di Catanzaro. L’operatrice sanitaria, in servizio al reparto di Pediatria del “Pugliese-Ciaccio”, si era rivolta al Tribunale invocando la tutela cautelare urgente contro il provvedimento con cui era stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione fino a che non si sarebbe vaccinata.
Le motivazioni
Le motivazioni
Nel procedimento si è costituita in giudizio l’Azienda ospedaliera del capoluogo ma non l’Asp di Catanzaro. Ma al di là delle considerazioni del giudice sulla sussistenza e l’adeguata documentazione rispetto al reale carattere di urgenza del ricorso, colpiscono le motivazioni con cui viene motivato il rigetto delle argomentazioni addotte dall’infermiera. “Quel che la ricorrente apertamente non dice – si legge nell’ordinanza del Tribunale – è che essa non intende affatto assumere detto vaccino (quello contro il Covid, ndr), né ora, né mai, quantunque non ricorra nei suoi confronti – non avendo dedotto, ancor prima che documentato, un pericolo per la sua salute – alcuna controindicazione ostativa alla somministrazione dello stesso”.
Si “trascura” la pandemia in corso
Il principale argomento usato dall’infermiera è che il diritto soggettivo al lavoro e al relativo stipendio è “intangibile ed indisponibile”, dunque una legge che ne impedisse lo svolgimento sarebbe secondo la ricorrente incostituzionale. Ma quest’ultima “volutamente trascura di considerare – scrive il giudice – che vi è una pandemia in atto e che il legislatore si è preoccupato di adottare una serie di misure, anche extra ordinem, a tutela della popolazione per il contenimento del contagio da covid 19, tra cui rientra la disciplina in questione, relativa agli obblighi cui sono assoggettati gli esercenti le professioni sanitarie”.
Diritto al lavoro sì, ma non in danno alla salute pubblica
È dunque “evidente” secondo il giudice che il diritto al lavoro e alla retribuzione “è sì meritevole di protezione, ma solo fino all’estremo limite in cui la sua tutela non sia suscettibile di arrecare un pregiudizio all’interesse generale (nella specie, la salute pubblica) di fronte al quale è destinato inesorabilmente a soccombere, sicché, ove il singolo intenda consapevolmente tenere comportamenti potenzialmente dannosi per la collettività, violando una disposizione di legge che quell’interesse miri specificamente a proteggere, deve sopportarne le inevitabili conseguenze”.
“Visioni personali non giustificate sul piano scientifico”
Dunque, esprimendo valutazioni che per il Tribunale sono dettate dal diritto ma che per la stragrande maggioranza di cittadini che ha scelto di vaccinarsi sarebbero ascrivibili al semplice buonsenso, il Tribunale conclude: “In difetto di ragioni ostative indicate dalla legge come deroghe all’obbligo di somministrazione del vaccino, non possono rilevare le visioni personali ed egoistiche del singolo non giustificate sul piano scientifico, né la paura indotta da eventuali complicazioni riconducibili alla sua assunzione: ciò tanto più allorché il soggetto che rifiuti di sottoporsi all’obbligo vaccinale è un esercente la professione sanitaria all’interno di una pubblica struttura ospedaliera”.