di Sergio Pelaia – Probabilmente in pochi, tra loro, avranno ascoltato il dibattito andato in scena nella seduta prenatalizia del consiglio regionale. E forse è meglio così, perché alcuni consiglieri e assessori regionali che si avvicendano da almeno un decennio nelle postazioni di potere hanno dedicato le loro poco invidiabili doti retoriche a rimpallarsi la responsabilità di aver creato, o alimentato, bacini di precariato di cui in Calabria ad oggi fanno parte migliaia di lavoratori.
Il calendario del lavoro nero di Stato
Il calendario del lavoro nero di Stato
Si tratta di persone, in molti casi padri e madri di famiglia, che spesso da un ventennio e anche più sono costrette a rimanere appese al rinnovo annuale del contratto. Sono tenuti prigionieri in un limbo permanente, una realtà sospesa in cui programmare il futuro non è neanche ipotizzabile e in cui l’unica certezza che consegna il presente è di essere lavoratori in nero per conto dello Stato. Il calendario dello sfruttamento legalizzato da tanti anni a questa parte prevede, proprio in questi giorni, dei tira e molla tra gli enti locali e la Regione, e tra la stessa Cittadella e il governo, che li vedono storicamente sballottati tra cavilli normativi, proroghe a breve scadenza e promesse sempre disattese. Quest’anno invece con il Natale alle porte qualcosa, un pur minimo spiraglio si è aperto per molti di loro.
L’equiparazione degli Lpu agli Lsu
Il Consiglio dei ministri ha approvato nelle scorse ore il decreto Milleproroghe in cui è stata inserita una norma che equipara i lavoratori di pubblica utilità (Lpu) calabresi ai lavoratori socialmente utili (Lsu). Stando ai commenti bipartisan che sono subito partiti da vari settori della politica – dal presidente della Regione Roberto Occhiuto (Forza Italia) alla deputata del Pd Enza Bruno Bossio – finalmente grazie a questo provvedimento tanti precari storici avranno un contratto dignitoso. Questa svolta normativa in effetti era attesa da tempo ed era necessaria per puntare alla stabilizzazione. Ora resta da capire se la novità verrà concretizzata non come ennesima proroga, e se magari si potrà attingere ai fondi del Pnrr per risolvere questa emergenza. Le prossime settimane, insomma, daranno conferma o meno di quanto annunciato.
La norma approvata in consiglio regionale
Nelle stesse ore il consiglio regionale ha approvato una norma (proposta dai consiglieri di centrodestra Michele Comito, Giovanni Arruzzolo e Salvatore Cirillo) che consentirà la stabilizzazione di 696 lavoratori, di cui 70 in servizio a Calabria Lavoro, 52 presso altri enti e 574 in forze a Comuni e Province calabresi. Nella stessa seduta è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno, presentato dal consigliere del Pd Raffaele Mammoliti, che impegna il presidente e la Giunta regionale a fare una ricognizione per avere un quadro chiaro dei lavoratori precari e redigere un Piano straordinario per assorbire il precariato esistente.
La galassia del precariato
Nel 2014 l’allora assessore regionale al Lavoro Nazzareno Salerno sostenne l’approvazione di una legge (1/2014) che reca appunto gli “indirizzi volti a favorire il superamento del precariato”. Di questo bacino fanno parte, oltre a ex lsu e lpu, i lavoratori delle leggi regionali 15/2008, 28/2008 e 8/2010. E ancora: leggi regionali 31/2016 e 40/2014, e i 200 lavoratori della legge 12 che denunciano di essere lasciati ancora nel limbo. Nell’elenco ne mancheranno sicuramente altri, senza dimenticare l’altrettanto spinosa questione dei tirocinanti. La sostanza è che moltissimi di loro hanno lavorato e lavorano negli enti pubblici garantendo il mantenimento di servizi essenziali che, altrimenti, verrebbero meno alla collettività. E lo hanno fatto per stipendi da fame che, spesso, neanche arrivano.
Precari zero
Questi primi passi verso la stabilizzazione, uniti alle piccole conquiste che hanno ottenuto negli anni scorsi, fanno dunque ben sperare, sono davvero uno spiraglio di luce che si apre dopo anni, decenni di buio. Ma l’unico vero obiettivo degno di essere chiamato tale è arrivare all’azzeramento del precariato. Solo allora le condizioni di lavoro in Calabria potranno essere assimilate a quelle di un Paese civile. E in quel caso, come oggi, non ci sarà nessuno da ringraziare: se qualche politico si sarà “speso” per arrivare a un tale traguardo avrà fatto solo un po’ del suo dovere.