Il presidente Aldo Truncè, avvocato penalista, ribadisce un secco no di fronte a riforme populiste e inaccettabili e auspica la formazione di una Commissione per sollevare una questione di costituzionalità
“Si sta affermando un modello di politica criminale, che in maniera efficace possiamo definire populismo penale. Le leggi in materia di diritto penale sostanziale e di diritto penale processuale non sono più il frutto di studi giuridici importanti nelle commissioni parlamentari, ma vengono elaborate dai giustizialisti della sicurezza”. Non usa mezzi termini il presidente della Camera penale di Crotone, l’avvocato l’Aldo Truncè, nel ribadire un secco no alle riforme di una giustizia inaccettabile proponendo, in un’assemblea allargata ai difensori di ufficio, emblema delle garanzie democratiche nel processo penale, una relazione che è stata inviata a Roma, insieme a quella stilata da tutte le Camere penali di Italia contro un “modello di controllo sociale di tipo oppressivo in rapida espansione che pian piano sta arrivando a negare tutti i diritti individuali”. Un’analisi del comparto giustizia scevra da critiche politiche. “Poco interessa all’Ucpi o alle singole Unioni delle Camere Penali di fare critica politica, non mi interessano le bandiere o i colori politici di chi propugna queste iniziative, a noi interessano i contenuti. Ci limitiamo a prendere atto dell’insediamento di questa ultima legislatura, a partire dalla bocciatura della riforma dell’ordinamento penitenziario, che avrebbe avvicinato l’Italia, dopo moltissime lotte, a modelli garantisti nord europei. Un modello di giustizia che avrebbe assicurato i diritti primari ai detenuti, tuttora negati”. Ad un anno dell’insediamento del nuovo Governo, sono plurime le misure già adottate e quelle in itinere che hanno spinto l’Upci e il presidente nazionale Gian Domenico Caiazza a indire una serie di astensioni, l’ultima delle quali l’8, il 9 e il 10 maggio scorso. Il presidente della Camera penale di Crotone ha spiegato le ragioni delle aule deserte nel corso dell’ultimo sciopero prendendo le distanze da una riforma che nega il diritto al rito abbreviato per i delitti puniti con la pena all’ergastolo.
“Si sta affermando un modello di politica criminale, che in maniera efficace possiamo definire populismo penale. Le leggi in materia di diritto penale sostanziale e di diritto penale processuale non sono più il frutto di studi giuridici importanti nelle commissioni parlamentari, ma vengono elaborate dai giustizialisti della sicurezza”. Non usa mezzi termini il presidente della Camera penale di Crotone, l’avvocato l’Aldo Truncè, nel ribadire un secco no alle riforme di una giustizia inaccettabile proponendo, in un’assemblea allargata ai difensori di ufficio, emblema delle garanzie democratiche nel processo penale, una relazione che è stata inviata a Roma, insieme a quella stilata da tutte le Camere penali di Italia contro un “modello di controllo sociale di tipo oppressivo in rapida espansione che pian piano sta arrivando a negare tutti i diritti individuali”. Un’analisi del comparto giustizia scevra da critiche politiche. “Poco interessa all’Ucpi o alle singole Unioni delle Camere Penali di fare critica politica, non mi interessano le bandiere o i colori politici di chi propugna queste iniziative, a noi interessano i contenuti. Ci limitiamo a prendere atto dell’insediamento di questa ultima legislatura, a partire dalla bocciatura della riforma dell’ordinamento penitenziario, che avrebbe avvicinato l’Italia, dopo moltissime lotte, a modelli garantisti nord europei. Un modello di giustizia che avrebbe assicurato i diritti primari ai detenuti, tuttora negati”. Ad un anno dell’insediamento del nuovo Governo, sono plurime le misure già adottate e quelle in itinere che hanno spinto l’Upci e il presidente nazionale Gian Domenico Caiazza a indire una serie di astensioni, l’ultima delle quali l’8, il 9 e il 10 maggio scorso. Il presidente della Camera penale di Crotone ha spiegato le ragioni delle aule deserte nel corso dell’ultimo sciopero prendendo le distanze da una riforma che nega il diritto al rito abbreviato per i delitti puniti con la pena all’ergastolo.
Il rischio delle Corti di assise intasate di processi . “Pensiamo al carico di lavoro delle Corte di assise di tutta Italia. Pensiamo alla Provincia di Crotone, che ha il triste primato del maggior numero di omicidi commessi in una città priva di Corte di Assise. Cosa significa tutto questo? Che tutti i gup di Italia verranno spogliati della funzione giudicante per i reati più gravi e per converso le Corti di assise saranno intasate da centinaia di processi: senza il rito abbreviato, il dibattimento verrà diluito chissà in quante udienza. Riunire una Corte di assise non è semplicissimo, è un processo di 10, 20, 30 udienza e costa molto di più rispetto ad un giudizio abbreviato che si risolve in tempi più brevi”.
Lo stop populista al rito abbreviato per i reati più gravi. I reati puniti con la pena all’ergastolo, ha ricordato l’avvocato penalista Truncè non sono solo gli omicidi, ma anche i reati di strage, di terrorismo ed è sufficiente contestare “un’ aggravante ad effetto speciale, perchè reati gravi diventino gravissimi sul piano sanzionatorio, con pene superiori ai 30 anni investendo però le Corti di assise. Per questo tipo di reati, le udienze preliminari saranno del tutto inutili, le sentenze di non luogo a procedere si conteranno in Italia sulle dite di una mano. Nessun giudice si scomoderà a scrivere una sentenza di non luogo a procedere quando un rinvio a giudizio privo di motivazione per legge sarà molto più indolore con passaggio di palla alla Corte di assise”. Secondo il presidente della Camera penale di Crotone, tutto questo succede perché concetti quali “certezza della pena di matrice populista hanno idolatrato il concetto di pena perpetua e di carcere a vita”. Per il legale non vi è ragione di vietare il giudizio abbreviato, quando con questo tipo di rito alternativo è già possibile sanzionare i reati più gravi con la pena dell’ergastolo, senza investire le Corti di assise, con un ma: verrebbe meno lo sconto di un terzo di pena previsto nell’abbreviato. “Pensiamo al reo confesso che si pente del reato commesso, quale sarà l’utilità del dibattimento, se le attenuanti generiche non potranno neutralizzare l’ergastolo?”. Tra l’altro verrebbe meno la finalità rieducativa della pena e di fronte alla possibilità della liberazione condizionale per un ergastolano la scelta di inibire il rito abbreviato risponderebbe ad una esigenza propagandistica: “se nell’ordinamento il fine pena mai è pressochè inesistente, non sarà certo il divieto di far celebrare un processo con rito abbreviato per i reati più gravi a garantire la certezza della pena”. Il presidente auspica la formazione di una commissione per sollevare una questione di costituzionalità sul divieto dell’abbreviato in presenza di reati più gravi, sperando che la Consulta non tardi a bocciare una riforma che nelle more potrebbe produrre diversi danni. “D’altro canto appare gravissimo, che una pena a 30 anni possa essere definita insufficiente a sanzionare un grave crimine”.
I limiti della riforma sulla legittima difesa. Il penalista ha passato poi in rassegna gli altri motivi che hanno dato luogo all’astensione, soffermandosi sulla riforma della legittima difesa, “connotata da finalità propagandistiche, rappresentando un attentato alla sicurezza sociale. Con la riforma è passato il messaggio che chiunque in casa propria può ammazzare chi viola il suo domicilio. Si avalla in questo modo il concetto di violenza preventiva contro l’aggressore e il principio che vittima di un’aggressione domiciliare sia assistito da una sorte di totale impunità”. A lasciare perplesso il presidente della Camera penale di Crotone anche le iniziative sulla violenza di genere. “Si obbliga il pubblico ministero a sentire entro 48 ore la vittima di violenza o stalking, mortificando le nostre garanzie difensive”, per non parlare del decreto sicurezza “che ha portato all’aumento del numero delle persone costrette a vivere in condizioni irregolari a causa delle limitazioni sulle procedure di protezione umanitaria. Ancora più drammatiche sono, poi, le condizioni nei centri di permanenza e le modalità per le procedure di sgombero che si stanno rivelando strumenti di contraddizioni sociali”.
g. p.