Il rapimento di Paul Getty, 50 anni fa la nascita della holding delle ‘ndrine

Il sequestro del nipote dell’uomo più ricco del mondo nel ’73 avviò gli affari delle cosche calabresi nell’edilizia

Il rapimento del nipote dell’uomo più ricco del mondo che con il suo riscatto avviò il business della ‘ndrangheta. Mezzo secolo fa con la vicenda di Paul Getty, segnata da drammatici colpi di scena e fragili dinamiche familiari, la mafia calabrese lanciò la nascita del suo impero edile. La prima pietra per la holding dei sequestri fu posta il 10 luglio 1973 quando a piazza Farnese, nel centro storico di Roma, fu portato via il sedicenne Paul Getty III. L’obiettivo del riscatto fu chiaro da subito: il petroliere miliardario americano Jean Paul Getty era suo nonno e secondo i banditi dell’epoca avrebbe potuto pagare qualsiasi cifra. Il nipote era un ragazzino dai capelli rossi e dall’aria hippy che viveva con la madre, la quale aveva una boutique a piazza di Spagna, e si dilettava a fare disegni per strada oltre a condurre una vita da bohemien.

Il giorno del rapimento venne sedato e portato in una cantina sotterranea vicino alla stazione di Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno. La prima richiesta fu di 17 milioni di dollari in cambio della sua restituzione, con tanto di annuncio che fosse vivo grazie a una lettera disperata del ragazzo alla madre e una telefonata dove si minacciava di tagliare l’orecchio al giovane. Jean Paul Getty inizialmente si rifiutò di trattare con i sequestratori: “ho 14 nipoti, se pagassi anche un solo centesimo li rapirebbero tutti”, diceva confermando la sua fama di uomo irremovibile e calcolatore. Anche perché tutti speravano che si trattasse di una truffa escogitata dal rampollo per estorcere soldi.

Il giorno del rapimento venne sedato e portato in una cantina sotterranea vicino alla stazione di Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno. La prima richiesta fu di 17 milioni di dollari in cambio della sua restituzione, con tanto di annuncio che fosse vivo grazie a una lettera disperata del ragazzo alla madre e una telefonata dove si minacciava di tagliare l’orecchio al giovane. Jean Paul Getty inizialmente si rifiutò di trattare con i sequestratori: “ho 14 nipoti, se pagassi anche un solo centesimo li rapirebbero tutti”, diceva confermando la sua fama di uomo irremovibile e calcolatore. Anche perché tutti speravano che si trattasse di una truffa escogitata dal rampollo per estorcere soldi.

Quando tre mesi dopo un pezzo dell’orecchio di Paul e una sua ciocca di capelli furono recapitati alla redazione romana del Messaggero si svelò il volto feroce dei suoi aguzzini. La salute del ragazzo cominciava a peggiorare mentre al Tempo arrivò una lettera dove il ragazzino supplicava di essere liberato. Nel tempo l’intransigenza del nonno crollò e il petroliere fu costretto a scendere a patti: il riscatto, ridotto a tre milioni di dollari, venne pagato in parte dal nonno e in parte dal papà, che s’impegnerà a restituire al capostipite della famiglia un interesse del 4% annuo sulla somma prestatagli. Fu una somma liberamente pagata, visto che soltanto nel 1991 sarà introdotta la legge sul blocco dei beni ai familiari.

Il 15 dicembre 1973, giorno in cui Jean Paul Getty compiva 81 anni, il sedicenne fu trovato da un camionista sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Quell’esperienza, durata cinque mesi, segnò inevitabilmente il ragazzo, che pur continuando la sua vita di artista girovago cadde nel vortice delle dipendenze: nel 1981 l’assunzione di una miscela a base di metadone, alcol e valium gli provocò un ictus che lo paralizzò rendendolo quasi cieco. Morì in Inghilterra nel 2011 a 54 anni.

Per il rapimento di Paul, che ha poi ispirato libri e film, vennero arrestate nove persone  ma viste le insufficienze di prove solo due furono condannate in quanto esecutori materiali: Antonio Mancuso, proprietario dell’auto su cui fu caricato il denaro del riscatto, e Giuseppe la Manna, un guardiano notturno al quale furono ritrovate soltanto poche banconote del bottino, le quali nella vera sostanza non furono mai rintracciate. Diversi anni dopo la Commissione d’inchiesta antimafia scrisse nel ’98, citando quel rapimento, che “con i proventi dei sequestri furono comprati camion, autocarri, pale meccaniche e si diede vita alla formazione di ditte mafiose nel campo dell’edilizia le quali parteciparono alle gare per gli appalti pubblici”. Da allora in poi quella mafia della montagna non sarà più la stessa e i nomi di contrade diventarono sinonimo di sequestri. Sulla costa ionica della Calabria, a Bovalino qualcuno chiamava uno dei quartieri con l’appellativo ‘Jean Paul Getty’: un cognome i cui fiumi di denaro, sborsati per un rapimento, fecero sgorgare colate di cemento criminale. 

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