Il sequestro più lungo della storia in un film, gli 800 giorni di Celadon in Calabria. Ecco il trailer (VIDEO)

Aveva 18 anni e rimase rinchiuso nelle grotte dell'Aspromonte e negli ovili di Pizzo per due anni: "I miei carcerieri? Pecorai, gente ignorante e senza scrupoli"

“800 giorni”. E’ il titolo del film del regista vicentino Dennis Dellai, liberamente ispirato al sequestro più lungo della storia d’Italia, quello di Carlo Celadon. E’ stato proiettato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia e dal 30 settembre sarà nelle sale.

Due anni tra le grotte dell’Aspromonte e gli ovili di Pizzo

Due anni tra le grotte dell’Aspromonte e gli ovili di Pizzo

Carlo Celadon nel 1988 aveva 18 anni. Figlio di un industriale vicentino, venne rapito dalla ‘ndrangheta e nascosto tra le grotte dell’Aspromonte e gli ovili di Pizzo Calabro per due anni, precisamente 831 giorni, dal 25 gennaio del 1988 al 4 maggio 1990. “Uno dei sequestri di persona più discussi – spiega il regista – che però con gli anni è stato quasi relegato nell’oblio. Alle nuove generazioni il nome di Celadon sembra dire ben poco, e invece sarebbe il caso di riportare storie del genere all’onore della cronaca”. Oggi Celadon è un imprenditore nel settore finanziario di 54 anni che da Arzignano, paese di origine in cui fu rapito, si è trasferito a Vicenza. È sposato e ha due figli. Cosa resta di quella drammatica esperienza a 35 anni di distanza. Celadon lo racconta in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Due anni rinchiuso nelle grotte dell’Aspromonte – rivela – negli ovili o dentro spazi angusti, incatenato, bendato, col divieto di urlare, con l’impossibilità perfino di alzarmi in piedi, mi hanno insegnato a dominare le mie emozioni, a soffocare la rabbia. Oggi sono un uomo che insegue la tranquillità, un mediatore che cerca di evitare lo scontro. Se c’è un litigio, io sono colui che fa da paciere”. Il 54enne ammette che “quello del sequestrato è un marchio che ti resta addosso, come per i deportati nei campi di concentramento. Ogni tanto c’è qualcuno che rispolvera la vicenda, magari mi riconoscono e mi fermano per la strada, ma non mi infastidisce. Reagisco con distacco. È come se quel ragazzino non fossi io: riguardo le foto scattate dopo la liberazione, quando pesavo 45 chili – ora ne peso 90 – e non mi riconosco”.

“I miei carcerieri? Pecorai, ignoranti e senza scrupoli”

Raramente ripensa a quei giorni. Ogni tanto qualche flash: “Ricordo alcuni dei nascondigli. Uno era un cunicolo che si infilava tra le rocce dell’Aspromonte, talmente basso che dovevo rimanere sdraiato con il cappuccio in testa e le catene al collo e alle caviglie. In quegli anni si sono alternati almeno venti carcerieri, ma pochi sono stati identificati e arrestati. Alcuni degli altri, ho saputo poi, sono stati ammazzati per questioni di denaro. Erano dei pecorai, gente ignorante e senza scrupoli. Ma dietro a loro, c’erano sicuramente dei mandanti”. Lo scorso anno la Cassazione ha negato i permessi premi al telefonista della banda che si faceva chiamare “Agip” e lui ricorda così: “Quando parlava con i miei familiari – sottolinea – era particolarmente sadico. La Giustizia deve fare il suo corso, fino in fondo”.

Il ricordo dell’ex fidanzata

La vicenda è raccontata nel film attraverso gli occhi della sua fidanzata dell’epoca, Gabriella, morta dieci anni fa. “Una persona speciale – ricorda Celadon – alla quale penso spesso. A lei scrivevo le mie lettere dalla prigione, le dicevo che sarei tornato per sposarla. In realtà, una volta a casa, scoprimmo che quell’esperienza ci aveva cambiati in modo diverso e ci lasciammo. Ma siamo sempre rimasti molto legati”. Il film ispirato alla storia di Celadon ha già ricevuto un primo premio, il Leone di vetro alla Mostra del Cinema di Venezia: “ Spero che, andando al cinema, i giovani possano riflettere su un fenomeno, quello dei sequestri di persona, che sembra lontano ma che in realtà, fino a meno di trent’anni fa, ha sconvolto le vite di tanti ragazzi”.

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