di Felice Foresta – È bello sentirsi italiani. Anzi, bellissimo. Prima gli Europei di calcio, adesso gli ori olimpici. In quegli abbracci ci siamo trovati e ritrovati tutti. In quella bandiera abbiamo avvolto la nostra storia, quella dei nostri padri, e quella imporporata di sangue e guerra dei nostri nonni. Proviamo, però, a sentirci Stato, Nazione, Comunità, sempre. Anche quando è un’esercitazione che sconfina nel tempio dell’ovvietà. Anche quando non ci piace. In fila alla posta senza chiedere all’amico. Al momento di pagare le tasse o anche la multa per un divieto di sosta. Sulla strada, quando ignoriamo precedenze e cassonetti, anche per i cani. Al di sotto di Eboli, dove abbiamo gli stessi diritti, e non solo il callo sullo stomaco per sopportare treni che puzzano di ferro e di ritardo. Senza tranciare giudizi e, soprattutto, senza farsi inghiottire dai giudizi più vecchi. Quelli pre, quelli che vengono prima. νῦν χρῆ μεθύσθην, ora bisogna ubriacarsi, diceva Alceo. Nunc bibendum est, gli echeggiò Orazio più tardi. Ora, dobbiamo festeggiare. Poi è il tempo di riflettere. Su quanto ci si senta partecipi davvero. Di quegli abbracci, e di quella bandiera. Ché a farli girare suo social non costa nulla. A sopportarne il carico di dignità e responsabilità , invece, è un’altra roba.