di Gabriella Passariello- La storia di tutte le organizzazioni ‘ndranghetistiche del Vibonese è anche la storia dei loro rapporti di alleanza o di conflitti con la cosca Mancuso di Limbadi. E mentre le indagini su Rinascita Scott si sono focalizzate su ben sei locali, quelle di Limbadi, San Gregorio d’Ippona, Vibo, Zungri, Sant’Onofrio, Filandari e Ionadi, a loro volta articolate in numerose cosche o ‘ndrine, strutturate principalmente su base familiare, Imponimento verte sulla locale di Filadelfia a conferma dell’esistenza di un quadro variegato, “che dimostra la singolare capacità della ‘ndrangheta si sapersi perfettamente adattare all’ambiente di riferimento, sia quello della ‘terra dei contadini’ sia quello dei ‘palazzi di potere’, mostrando i denti laddove occorre e presentandosi più spesso con modi gentili in quella zona grigia tipica di una borghesia disposta ad essere inquinata. E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza con cui il gup distrettuale Francesco Vittorio Rinaldi il 19 gennaio scorso ha sentenziato in abbreviato nell’aula bunker di Lamezia Terme 65 condanne, nell’ambito dell’inchiesta Imponimento che punta a far luce sulle attività illecite del clan Anello di Filadelfia e delle consorterie alleate su una vasta porzione di territorio a cavallo tra il Vibonese, l’hinterland lametino e parte dell’entroterra catanzarese.
Il tentativo di emanciparsi dal clan Mancuso
Il tentativo di emanciparsi dal clan Mancuso
Gli Anello hanno conosciuto momenti di contrasto, anche significativi contro il clan Mancuso, protagonisti e fautori di una frangia direttamente protesa a scardinare lo strapotere di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni, per poi tornare in tempi recenti ad essere parte integrante del fisiologico sistema di spartizione del potere mafioso realizzato dal boss Luigi Mancuso e già cristallizzato in Rinascita Scott e ancora una volta confermato in Petrolmafie-Dedalo. Sulla scorta degli esiti di Imponimento è emerso, secondo quanto scrive il gup, il pieno inserimento della cosca Anello nel contesto della ‘ndrangheta unitaria. “Assolutamente condivisibile è la valutazione del pm secondo il quale gli Anello-Fruci sono uno dei sodalizi di ‘ndrangheta più potenti e pericolosi dell’area vibonese, che per storia, vocazione, collocazione geografica, ha sempre intrattenuto stretti rapporti con le cosche del lametino e con quelle delle Serre Vibonesi, ha sempre manifestato tendenze espansionistiche nelle aree circostanti, soprattutto verso il territorio di Pizzo Calabro, ‘incontrandosi’ con i Bonavota di Sant’Onofrio, dovendo necessariamente fare i conti con l’egemonia della cosca Mancuso”, con la quale si è dovuto sempre relazionare.
Le mire espansionistiche degli Anello
Le intercettazioni consentono di ritenere dimostrati la gerarchia interna al gruppo, il controllo del territorio, le attività estorsive, la scientifica infiltrazione di interi settori dell’economia, tra i quali quello turistico alberghiero, il settore dell’energia eolica, il settore del taglio boschivo, la disponibilità delle armi, il traffico di droga, i rapporti con la politica locale e nazionale, con esponenti delle forze dell’ordine, le relazioni con le altre organizzazioni criminali. E ancora le mire espansionistiche all’estero, in Svizzera e in Germania, dove è stata accertata l’esistenza tanto di affari illeciti quali il commercio di monete false, il traffico di armi, il riciclaggio, quanto di affari apparentemente leciti quali investimenti in ristoranti, strutture ricettive, con la conseguenza che gli Anello agli occhi degli interlocutori stranieri si presentano quasi come una figura imprenditoriale a tutto tondo.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Nelle dichiarazioni attendibili dei collaboratori di giustizia emerge come gli Anello avevano costituito una ‘ndrina che negli anni ’90 si era staccata dai Mancuso, entrando in contrasto con i vertici della storica organizzazione sposando la linea garantita dal boss Damiano Vallelunga che faceva capo direttamente a Umberto Bellocco di Rosarno. Lo stesso collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà spiega come il progetto criminale di emancipazione di alcune cosche del Vibonese dai Mancuso coincide più o meno con l’ascesa criminale di Andrea Mantella che era riuscito a diventare il capo a Vibo, a discapito dei Lo bianco che invece portavano “acqua al mulino” di Limbadi favorendo i Mancuso. Questo progetto era da tempo coordinato da Damiano Vallelunga e lo schieramento avverso dei Mancuso comprendeva anche gli Anello. La vicinanza della cosca Anello a Vallelunga e la condivisione della strategia di contrasto ai Mancuso portata avanti fino alla prima metà degli anni 2000 viene confermata anche da una persona intranea alla cosca Anello, il collaboratore Francesco Michienzi e dalle parole di Andrea Mantella che collabora in epoca successiva a Michienzi si può invece cogliere un cambiamento nei rapporti tra gli Anello e i Vallelunga nel periodo successivo, dal 2003 al 2009, epoca della morte del boss delle Serre Damiano Vallelunga, una metamorfosi che rappresenta il preludio del riallineamento degli Anello rispetto all’egemonia dei Mancuso, che si stabilirà con il ritorno in libertà di Luigi Mancuso. Del resto le più recenti dichiarazioni di Emanuele Mancuso e Bartolomeo Arena consegnano con le loro dichiarazioni tasselli di un quadro ormai mutato nel quale superati i burrascosi momenti dei primi anni 2000, Rocco Anello gestisce la sua fetta di potere nel Vibonese in piena armonia con il “Crimine” dell’area Luigi Mancuso.
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