Imponimento, il profilo e gli affari di Rocco Anello secondo i pentiti: “Boss di primo piano”

Le motivazioni della sentenza del gup di Catanzaro che inflitto al capo del Locale di Filadelfia 20 anni di reclusione nel processo celebrato con rito abbreviato

di Mimmo Famularo – Da Andrea Mantella a Bartolomeo Arena passando per Francesco Michienzi, Raffaele Moscato, Emanuele Mancuso fino a una serie di collaboratori di giustizia lametini. Tutti concordi: Rocco Anello è un boss di prima grandezza della ‘ndrangheta calabrese con interessi sparsi nel mondo del turismo, nel business del narcotraffico, nei settori dei tagli boschivi, dedito alle estorsioni e all’usura. Il capo indiscusso di una delle cosche più pericolose della provincia di Vibo Valentia. Ricca e anche potente perché capace di rifornirsi di armi e di munizioni provenienti dalla Svizzera. A Rocco Anello e al suo clan il gup del Tribunale di Catanzaro Francesco Vittorio Rinaldi dedica un intero capitolo tra le oltre 2mila pagine con le quali spiega i motivi che hanno portato a 65 condanne nell’ambito del processo celebrato con rito abbreviato e scaturito dall’operazione “Imponimento”. Rocco Anello è stato condannato a venti anni di reclusione per associazione mafiosa. Una decina i pentiti che hanno parlato di lui rilasciando dichiarazioni convergenti sul suo ruolo, il suo carisma, la sua potenza, i suoi affari.

I racconti dei pentiti vibonesi

I racconti dei pentiti vibonesi

Francesco Michienzi è il primo ad essere passato in rassegna. Non è uno qualsiasi ma un ex affiliato al clan Anello-Fruci. Il profilo del boss è ricco di particolari nel suo racconto. Rocco Anello viene descritto come il “capo indiscusso della consorteria che veniva rifornito di armi e munizioni provenienti dalla Svizzera, che decideva le imprese che dovevano occuparsi del taglio dei boschi nonché le estorsioni, il controllo delle forniture di beni e servizi piuttosto che le assunzioni dei guardiani nei villaggi turistici”. Gli Anello – per Michienzi – sono una cosca e quella di Rocco Anello è una figura carismatica. Andrea Mantella lo definisce il “Capo Bastone” di Filadelfia ma anche il “braccio armato” degli Iannazzo di Sambiase. “So per certo che Rocco Anello aveva grandi interessi nel settore dell’imprenditoria boschiva, infatti proprio per questo settore iniziano i contrasti tra gli Anello e Damiano Vallelunga”. Non sono gli unici perché il boss di Filadelfia si contrapponeva ai Mancuso con l’obiettivo di controllare il territorio di Pizzo e in stretta alleanza con i Bonavota di Sant’Onofrio. “Nel periodo a partire dal 2004-2005-2006, Francesco Fortuna e Rocco Anello hanno avviato una serie di attività imprenditoriali nel settore edilizio ed in quello del movimento terra” aggiunge Mantella. L’altro pentito vibonese Bartolomeo Arena attribuisce allo stesso Anello una elevatissima caratura criminale al punto da essere tenuto in grande considerazione dal boss Luigi Mancuso e svelando i suoi interessi anche nel settore dell’eolico oltre che nel traffico di sostanze stupefacenti. “Sono a conoscenza dell’esistenza di una cosca di ‘ndrangheta operante a Filadelfia capeggiata da Rocco Anello. Unitamente a Saverio Razionale e Peppone Accorinti è tra i boss più temuti della provincia vibonese e più tenuti in considerazione da Luigi Mancuso”. Raffaele Moscato parla del locale di ‘ndrangheta degli Anello e lo descrive come “un’organizzazione molto temuta nei contesti criminali del Vibonese e si estende oltre che sul territorio di Filadelfia anche su quelli di Sambiase, in parte Lamezia e Pizzo Calabro”. L’altro collaboratore di giustizia di Vibo Marina Giuseppe Comito si concentra sulla figura dei fratelli Rocco e Tommaso Anello “che esercitano la propria influenza criminale nei comuni di Filadelfia e Francavilla ed alcuni villaggi turistici presenti a Pizzo”. Il pentito Emanuele Mancuso inquadra Rocco Anello come il responsabile dal punto di vista criminale del territorio compreso tra Filadelfia e San Nicola da Crissa e quale “personaggio dotato di grande carisma”.

Le rivelazioni di Santino Mirarchi e dei pentiti lametini

Il potere degli Anello arrivava – secondo quanto riferito dal pentito catanzarese Santo Mirarchi – fino alle porte di Catanzaro. “Fino al 2009 a Roccelletta non c’era un locale di ‘ndrangheta e l’organizzazione ivi operante quindi ‘attivava’ con Filadelfia dove c’era e c’è una locale di ‘ndrangheta capeggiata da Rocco Anello”. Sono diversi i collaboratori di giustizia lametini richiamati dal giudice attraverso una serie di stralci perché il “regno” degli Anello si estendeva prevalentemente a cavallo dei territori compresi tra la provincia di Vibo e il comprensorio a sud di Lamezia lungo la fascia tirrenica. L’ex killer oggi pentito Gennaro Pulice indica Rocco Anello quale capo dell’omonima cosca; l’altra gola profonda di Lamezia Angelo Torcasio riferisce di aver appreso dell’esistenza a Filadelfia di “in clan autonomo capeggiato dai fratelli Rocco e Tommaso Anello cui erano vicini anche i fratelli Fruci. Costoro ‘comandavano’ Filadelfia, Acconia e in particolare la zona industriale ove ha sede lo stabilimento Sir. Quella zona era una zona industriale, in espansione, ivi stavano sorgendo più capannoni e quindi gli Anello facevano estorsioni, usura, acquisendo il controllo di numerose imprese”. Per Giuseppe Giampà la cosca Anello “è capeggiata dai fratelli Rocco e Tommaso i quali possono contare su altri due fratelli: Vincenzo e Giuseppe Fruci. Tutti costoro controllano i comuni di Filadelfia, Francavilla Angitola, Maierato, Pizzo e arrivano fino alla zona industriale della Sir”.

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