La scorsa settimana è stata la volta del fratello (LEGGI QUI), adesso è toccato a lui: l’imprenditore napitino Franco Stillitani, imputato nel processo “Imponimento” contro il clan Anello-Fruci, lascia gli arresti domiciliari. Sarà adesso sottoposto, dopo l’accoglimento, da parte del Tribunale di Lamezia Terme, dell’istanza presentata dai suoi legali Vincenzo Gennaro e Vincenzo Comi, alla misura dell’obbligo di firma.
I giudici hanno rilevato nel provvedimento che “il periodo di detenzione preventiva sofferto – a far data dal 26 luglio 2020 (custodia in carcere tramutata poi in arresti domiciliari) – e l’effetto deterrente che questo spiega nei confronti dell’imputato, unitamente al suo stato di incensuratezza e alla puntuale osservanza delle prescrizioni a lui imposte – tenuto conto delle esigenze lavorative prospettate e documentate – appaiono sufficienti per ritenere attenuate le, pur permanenti, esigenze cautelari che ben possono essere adeguatamente fronteggiate con la misura meno afflittiva dell’obbligo dei presentazione alla Pg per tutti i giorni della settimana”.
I giudici hanno rilevato nel provvedimento che “il periodo di detenzione preventiva sofferto – a far data dal 26 luglio 2020 (custodia in carcere tramutata poi in arresti domiciliari) – e l’effetto deterrente che questo spiega nei confronti dell’imputato, unitamente al suo stato di incensuratezza e alla puntuale osservanza delle prescrizioni a lui imposte – tenuto conto delle esigenze lavorative prospettate e documentate – appaiono sufficienti per ritenere attenuate le, pur permanenti, esigenze cautelari che ben possono essere adeguatamente fronteggiate con la misura meno afflittiva dell’obbligo dei presentazione alla Pg per tutti i giorni della settimana”.
Secondo le ipotesi accusatorie Franco e il fratello Emanuele Stillitani avrebbero “fornito uno stabile contributo alla vita dell’associazione mafiosa” operando il controllo nel settore turistico; entrambi avrebbero quindi “consentito a tale organizzazione di infiltrarsi e di avere voce in capitolo negli affari relativi allo specifico settore della gestione di strutture turistiche, anche mediando con altri imprenditori in relazione alle pretese estorsive della cosca e dei suoi appartenenti, concorrendo nelle condotte estorsive, favorendo l’affidamento di opere, forniture e servizi ad imprese contigue alla cosca ovvero direttamente avvalendosene, garantendo l’assunzione di sodali o di soggetti comunque indicati dall’organizzazione”. Entrambi avrebbero, quindi, “contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Vibo Valentia e su altre zone del territorio calabrese, nazionale ed estero (Svizzera), ed in particolare della locale di Filadelfia e della cosca Anello Fruci”.
Tale presunta protezione del clan avrebbe fruttato, sempre secondo l’accusa, “ulteriori vantaggi ingiusti quali la risoluzione di problematiche concorrenziali, intimidazioni a soggetti non graditi ed appoggi elettorali in occasione delle competizioni (come quella regionale del 2005)”. (f.p.)