Imprenditori in fuga da Vibo e la masso-‘ndrangheta prepara l’assalto ai fondi Pnrr

L'allarme del procuratore Falvo e il rischio che le imprese colluse possano mettere le mani sulle grandi opere: "Più magistrati e investigatori per indagare sui colletti bianchi"

di Mimmo Famularo – Gringia, Romanzo Criminale, Costa Pulita, Stammer, Robin Hood, Conquista, Rimpiazzo, Ossessione, Imponimento, Petrolmafie. Sono i nomi delle dieci più importanti operazioni antimafia che hanno disarticolato le cosche di ‘ndrangheta attive nel Vibonese svelando i rapporti con i “colletti bianchi” e con l’area grigia che ha contribuito a rendere più permeabile le infiltrazioni negli enti pubblici e nel tessuto produttivo locale. Pagine e pagine di cronaca giudiziaria raccontate nella madre di tutte le inchieste contro i clan vibonesi, Rinascita Scott. “Fino a qualche anno fa le cosche la facevano da padrone e la presenza dei condizionamenti massomafiosi era palpabile in ogni ambito” osserva il procuratore di Vibo Camillo Falvo che in un’intervista alla Gazzetta del Sud si domanda: “Cosa deve succedere ancora per capire che in questo territorio serve un impegno diverso dello Stato? In passato la criminalità vibonese è stata sottovalutata e ora non si può più dire che il fenomeno non lo si conosca”.

Gli imprenditori in fuga

Gli imprenditori in fuga

Mentre nell’aula bunker di Lamezia Terme il maxi processo alla ‘ndrangheta procede a ritmi serrati e in abbreviato è già arrivata una prima sentenza che ha stangato gli aspiranti presunti boss delle “nuove leve”, la vita reale continua a scorrere a Vibo e in provincia tra un allarme e un altro. L’ultimo della serie richiama alla preoccupante assenza dello Stato e a lanciarlo sono diversi imprenditori i quali preferiscono non avere a che fare con il Vibonese, rinunciando ad appalti e commesse per evitare problemi e vivere in tranquillità altrove. Una vera e propria fuga confermata dallo stesso Falvo. “Ci sono imprenditori che, pur avendo preso commesse di lavoro, mi dicono che non si sentono tranquilli ad operare in questa provincia perché temono di diventare bersaglio delle organizzazioni criminali e preferiscono andare a lavorare altrove. Il risultato è che in questa situazione rischiano di lavorare solo le imprese vicine alle organizzazioni criminali, facendo opere nel modo che voi ogni giorno raccontate: o non vengono concluse o, se realizzate, vengono fatte male. Tutto ciò fa crescere ancor di più la rassegnazione dei cittadini, impedendo quella rivoluzione culturale necessaria a contrastare fenomeni criminali che stritolano il territorio”.

L’assalto ai fondi Pnrr

Un’analisi impietosa fatta da chi vive in trincea e non nei salotti radical-chic lontani da Vibo, Piscopio, Sant’Onofrio, Limbadi o San Gregorio d’Ippona, le enclavi della ‘ndrangheta espugnate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ma non ancora del tutto liberate dal giogo dei clan e dei loro alleati che si annidano nei palazzi del potere. Recidere questi collegamenti è diventato fondamentale per dare la spallata definitiva evitando l’assalto della masso-‘ndrangheta ai fondi Pnrr, un torta da circa 20 milioni di euro che potrebbe cambiare i connotati di Vibo ma che fa gola alle organizzazioni criminali ancora attive sul territorio. Il ministro dell’Interno Lamorgese e quello della Giustizia Cartabia parlano spesso di lotta alle mafie ma alle parole non seguono quasi mai i fatti. Basta farsi un giro al Tribunale di Vibo, in Questura, al Comando provinciale dei Carabinieri o della Guardia di Finanza di Vibo per rendersene conto: mancano uomini e mezzi per dare un seguito alle operazioni antimafia che hanno messo in ginocchio le principali cosche della provincia mettendo all’angolo gli stessi “colletti bianchi”.

La Procura di Vibo come un Pronto soccorso

Emblematiche le parole di Camillo Falvo: “La situazione purtroppo è tra le più critiche, sia per la Procura che per il Tribunale. Da quando sono a Vibo ho più volte segnalato l’insufficienza dell’organico nei due uffici, inadeguato ad affrontare le criticità del territorio, con un numero di procedimenti superiore ad uffici più attrezzati e, nonostante ciò, il recente ampliamento delle piante organiche non ha riguardatola Procura di Vibo, mentre solo in parte ha riguardato il Tribunale. Ciò è frutto di una evidente sottovalutazione della realtà in cui l’Ufficio è chiamato ad operare. Praticamente sta accadendo quanto successo quando ero in Dda a Catanzaro e mi occupavo, da solo, di questa provincia. Nel 2015 avevo relazionato due volte chiedendo che venissero destinati 4 pm perché uno solo non poteva smaltire la gran mole di lavoro. È dovuto arrivare Gratteri perché ciò accadesse e risultati ora sono sotto gli occhi di tutti”. I numeri: la Procura di Vibo conta appena sette magistrati oltre al Procuratore (meno di Palmi) e in Tribunale ci sono appena due gip che devono sobbarcarsi un carico di lavoro immane con la conseguenza più diretta di trovarsi sulle scrivanie richieste di misure cautelari depositate da anni e, per forza di cose, mai vagliate. Tutto ciò si traduce nell’ottica del cittadino in una sorta di “impunità” perché la sete di giustizia di chi denuncia non viene quasi mai soddisfatta e Vibo resta una “zona franca” dove delinquere conviene. Falvo non si limita alla solita denuncia ma propone anche il vaccino per sconfiggere il virus che a Vibo non sono solo i reati mafia ma anche quelli più comuni commessi dai “colletti bianchi” sotto varie forme e in vari settori: ambiente, rifiuti, depurazione. “Per risolvere in modo stabile e duraturo i problemi della giustizia, a Vibo ci vorrebbero almeno 3 magistrati in più in Procura e 5 in più in Tribunale”.

Il senso di ingiustizia e il consenso dei mafiosi

L’organico è inadeguato per la Procura e per il Tribunale, che deve affrontare tutti quei max-processi. Ed è inadeguato per le forze dell’ordine che non riescono a presidiare il territorio e stare dietro a tutte le attività di indagine che dovrebbero porre in essere Dda e Procura ordinaria. In questa situazione programmare a medio-lungo termine è impossibile. Con quali conseguenze? Spiega ancora Falvo: “I procedimenti, nonostante l’impegno dei magistrati presenti, si moltiplicano e la situazione rischia di diventare denegata giustizia. E se i cittadini non ottengono giustizia o la ottengono con grave ritardo perdono fiducia nelle istituzioni e, per risolvere i problemi, si rivolgono al mafioso come tante volte abbiamo accertato. E tutto ciò fa crescere il consenso delle organizzazioni criminali, innescando il meccanismo opposto a quello che lo Stato deve favorire per contrastarle. Con l’effetto che l’attività repressiva e le operazioni servono a poco, rischiando di vanificare lo straordinario impegno che è stato profuso negli ultimi anni. Come possiamo chiedere alla gente di occupare gli spazi che si liberano con gli arresti se rischiamo noi per primi di lasciarli vuoti?”.

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