In coma dopo il parto cesareo, medico dell’ospedale di Catanzaro condannato

di Gabriella Passariello- Con una condanna e un’assoluzione si chiude il processo di primo grado sul caso di Catia Viscomi, l’oncologa in coma da circa sei anni dopo aver dato alla luce il 17 maggio 2014 con un parto cesareo  il suo primo figlio all’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. Una gioia quella di diventare mamma che aveva sempre desiderato, ma che il destino non le ha permesso di vivere concretamente nemmeno per un istante. Non ha ancora potuto provare l’emozione di conoscere il viso del suo piccolo Aldo né si sa se potrà mai accarezzarlo, mentre si trova in quel letto di ospedale sospesa tra la vita e la morte. Il gup del Tribunale di Catanzaro Pietro Carè ha condannato il ginecologo Francesco Quintieri ad un anno e otto mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e beneficio condizionale della sospensione della pena mentre ha assolto per non aver commesso il fatto il medico della Rianimazione Mario Verre, (entrambi difesi dall’avvocato Enzo Ioppoli). Inoltre ha condannato Quintieri al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede. Il pubblico ministero, al termine della requisitoria aveva, invece, invocato la condanna per entrambi 2 anni e 8 mesi di reclusione, richiesta di condanna a cui si erano associati i difensori di parte civile Antonietta Denicolò e Giuseppe Incardona.

Falsa testimonianza, atti in Procura

Falsa testimonianza, atti in Procura

Il gup ha inoltre trasmesso gli atti alla Procura di Catanzaro per le dichiarazioni rese dal teste Raffaele D’Antona al fine di valutare nei suoi confronti il reato di falsa testimonianza. Si dovranno attendere 90 giorni per conoscere le motivazioni della sentenza.

“Cartelle cliniche false e lesioni”

Secondo le ipotesi accusatorie, Quintieri, che risponde di lesioni e falso ideologico non avrebbe impedito all’anestesista in servizio (poi deceduta) la disattivazione delle apparecchiature, attestando nella cartella clinica circostanze contrarie al vero. Verre, la cui posizione si è aggravata per la richiesta formulata in aula dalla Procura di contestare all’imputato anche le lesioni personali colpose, avrebbe indebitamente rifiutato “di inibire parzialmente o totalmente l’esercizio delle funzioni alla stessa anestesista”. Entrambi a processo da quando il gip Giuseppe Perri respinse la richiesta della Procura di archiviare il caso per l’intervenuto decesso dell’unica indagata, l’anestesista presente al parto, disponendo a carico della Procura un supplemento di indagini per chiarire una vicenda che appariva fin dall’inizio coperta da tante ombre. E da qui l’iscrizione nel registro di altri due indagati.

Gli appelli dei familiari

Non sono stati vani i continui appelli dei familiari della vittima che fin dall’inizio e non solo all’interno dell’aula a porte chiuse di Palazzo Ferlaino,  si sono opposti alla richiesta di chiudere un caso, manifestando finanche sotto la sede della Procura, urlando giustizia per la figlia, la moglie, l’amica che da quella anestestia non si è più svegliata, così come ha urlato giustizia, durante una fiaccolata, la comunità di Soverato, dove Catia è sempre vissuta.  Tutti uniti nel pronunciare il suo nome, gridando: “Catia non mollare, non sei sola”, nella speranza che possa riaprire gli occhi e riabbracciare suo figlio. Oggi, dopo una lunga istruttoria dibattimentale, l’epilogo del processo di primo grado con un verdetto di assoluzione e uno di condanna.

Le dichiarazioni del marito di Catia sulla sentenza 

Subito dopo la lettura del dispositivo da parte del gup Pietro Carè, Paolo Lagonia, il marito di Catia ha rilasciato a Calabria7 una dichiarazione: “Attendiamo le motivazioni della sentenza. Un esito che rende giustizia a metà, siamo comunque soddisfatti che siano emerse delle responsabilità. Ci auguriamo che la Procura faccia appello per Verre, visto che noi come parte civile non possiamo farlo”

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