Intimidazione con teste di capretto, arrestato a Roma un imprenditore calabrese

La quadra Mobile di Roma, in collaborazione con la Squadra Mobile di Catanzaro ha arrestato Paolo Cosentino con l'accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso
sorpreso a cedere la droga-alt

Arresti domiciliari per un uomo  ritenuto responsabile, in concorso con persone non identificate, di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso: aveva inviato teste di capretto quale messaggio intimidatorio per non pagare quanto doveva. Questa mattina personale della Squadra Mobile di Roma, in collaborazione con la Squadra Mobile di Catanzaro, ha eseguito il provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti dell’uomo, Paolo Cosentino, 50 anni.

Le indagini iniziano nel gennaio 2019, quando un pensionato e suo figlio, proprietari di alcuni terreni, ricevono presso le proprie abitazioni due pacchi, contenenti ognuno una testa di capretto mozzata, scuoiata, insanguinata e avvolta nel cellophane. Il messaggio legato a questi pacchi, inviato con modalità tipicamente mafiose, oltre ad intimorire i destinatari, richiama immediatamente alle lori menti le problematiche legate ad una controversia civile pendente con una famiglia calabrese di costruttori, i Cosentino, titolari di una società immobiliare. Questa aveva costruito alcuni villini a Roma su un terreno di proprietà dei due soggetti, non ottemperando poi agli obblighi contrattuali, come giudizialmente accertato dal Tribunale Civile di Roma che aveva disposto, a favore di padre e figlio, la titolarità di tre villini e un risarcimento pari a 480.000 euro. I due, a seguito dell’inadempimento dei Cosentino, erano stati peraltro costretti ad avviare una procedura esecutiva.

Le indagini iniziano nel gennaio 2019, quando un pensionato e suo figlio, proprietari di alcuni terreni, ricevono presso le proprie abitazioni due pacchi, contenenti ognuno una testa di capretto mozzata, scuoiata, insanguinata e avvolta nel cellophane. Il messaggio legato a questi pacchi, inviato con modalità tipicamente mafiose, oltre ad intimorire i destinatari, richiama immediatamente alle lori menti le problematiche legate ad una controversia civile pendente con una famiglia calabrese di costruttori, i Cosentino, titolari di una società immobiliare. Questa aveva costruito alcuni villini a Roma su un terreno di proprietà dei due soggetti, non ottemperando poi agli obblighi contrattuali, come giudizialmente accertato dal Tribunale Civile di Roma che aveva disposto, a favore di padre e figlio, la titolarità di tre villini e un risarcimento pari a 480.000 euro. I due, a seguito dell’inadempimento dei Cosentino, erano stati peraltro costretti ad avviare una procedura esecutiva.

“Missiva affidata a terza persona per eludere in contratti”

Gli accertamenti sulla lettera e le attività tecniche di intercettazione telefonica, consentivano di individuare appunto in Paolo Cosentino il reale mittente della missiva minatoria, affidata ad un terzo soggetto affinché venisse spedita da un luogo diverso rispetto a Lamezia Terme, al fine di eludere le eventuali verifiche. Che per gli investigatori sia proprio Cosentino l’autore materiale dell’intimidazione emerge chiaramente dalle conversazioni intercettate: in una, l’uomo chiede notizie al soggetto circa la spedizione della lettera, nell’altra, la terza persona si lamenta di essere stata usata per spedire una lettera a Roma; l’interlocutore, comprende immediatamente i destinatari della missiva e fa riferimento all’acquisto dell’ipoteca da parte di Cosentino, confermando ulteriormente quanto ricostruito nel corso dell’indagine.    È in questo quadro di forte intimidazione – è detto nel comunicato stampa della Polizia di Stato che ricostruisce la vicenda – che si inseriscono le condotte di Cosentino, “soggetto con elevata e raffinata capacità criminale, finalizzate a ingenerare uno stato di assoggettamento e timore, con modalità proprie delle associazioni mafiose, in questo caso ‘ndranghetistiche, allo scopo di tutelare gli interessi del suo gruppo familiare e costringere la parte offesa ad accettare un accordo sfavorevole”.  L’invio delle teste di capretto mozzate e della lettera anonima quali messaggi finalizzati ad ingenerare, nelle controparti della controversia giudiziaria, uno stato di assoggettamento ed omertà, infatti, “integra nei confronti di Cosentino l’aggravante dell’avere agito con metodo mafioso, attraverso l’impiego di modalità d’azione e della forza intimidatrice tipiche della ’ndrangheta”.

“Non voleva pagare quanto dovuto”

Dall’attività di indagine subito avviata è emerso che nel novembre 2018 Paolo Cosentino si era recato presso lo studio legale che seguiva tale procedura, proponendo – per chiudere la controversia – 150.000 euro, somma nettamente inferiore rispetto a quella stabilita dal Tribunale. Peraltro, l’analisi dei tabulati telefonici aveva restituito una serie di contatti tra l’uomo e una delle parti offese, avvenuti subito dopo l’emissione della sentenza del Tribunale di Roma e verosimilmente finalizzati a chiudere la controversia a condizioni più sfavorevoli di quelle fissate dalla sentenza.  Inoltre, gli investigatori hanno appurato che sempre Cosentino – “a riprova del chiaro intento di non voler pagare quanto dovuto”, dice un comunicato – aveva acquistato il credito ipotecario di 1° grado di una banca, gravante su uno dei tre villini (peraltro locato ad una terza persona) e aveva iscritto un credito per prestazioni professionali di 300.000 euro sulla base di un atto di riconoscimento di debito da parte della società immobiliare calabrese, “con l’evidente finalità di impedire dolosamente la possibilità di recupero dei villini e delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno”.
In seguito alla ricezione dei pacchi contenenti le teste di capretto, in preda ad una forte agitazione legata al timore per quanto accaduto, il figlio comunica al proprio avvocato di voler accettare la proposta transattiva, anche se sfavorevole. Dalle telefonate intercettate, “traspare con tutta evidenza lo stato di sottomissione dell’intera famiglia che, però, non si decide a cedere alla proposta”. A causa del prolungarsi di questa indecisione, nel marzo 2019 viene recapitata ad una delle vittime, una missiva anonima dal contenuto minatorio e con un chiaro riferimento a possibili atti lesivi nei confronti suoi e della sua famiglia.

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