Jonica, le estorsioni dei Mannolo nei villaggi turistici del Catanzarese e le dichiarazioni del pentito

Dalle carte dell'inchiesta della Dda di Catanzaro il "pensierino" con cifre da copogiro, le paure dell'imprenditore che subisce per 15 anni le estorsioni
operazione jonica

di Gabriella Passariello- Tre villaggi turistici ubicati a Sellia Marina sotto il giogo estorsivo delle ‘ndrine ricomprese nella locale di San Leonardo di Cutro, secondo uno schema “divisionale” che attribuiva a diversi esponenti della famiglia Mannolo la “competenza ” sui villaggi del litorale Jonico. Una vicenda ricostruita attraverso le dichiarazioni di un imprenditore, il quale, a partire dal 2002, era subentrato nella gestione di queste strutture ricettive di proprietà della famiglia. Il suo narrato, secondo quanto riportato nell’ordinanza del gip Matteo Ferrante nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro “Jonica”, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri che ha portato la Guardia di Finanza di Crotone e i carabinieri della Compagnia di Sellia Marina a notificare 10 misure cautelari, hanno consentito di accertare l’esistenza di continue estorsioni da parte degli esponenti della famiglia Mannolo, subite per oltre 15 anni e pagate annualmente sia dalla proprietà che dai conduttori per salvaguardare l’operatività delle strutture alberghiere, tenuti a versare un “pensiero”.

“Ho pagato le mazzette per non avere problemi”

“Ho pagato le mazzette per non avere problemi”

Alfonso Mannolo, in base a quanto riferito dall’imprenditore, sarebbe stato assunto dalla sua famiglia sin dagli anni’70: “ ha svolto la mansione di guardiano per conto di mio fratello nelle strutture di famiglia. In ottica imprenditoriale ho sempre cercato di mantenere buoni rapporti con il territorio ed evitare problemi”. Pretese estorsive confermate anche dal collaboratore di giustizia Dante Mannolo, che ha parlato di un vero e proprio accordo di spartizione mafiosa tra i diversi rami dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta per dare a ciascuno una precisa fetta delle estorsioni sui villaggi: “ribadisco che per poter condurre i villaggi turistici, i proprietari di tali strutture hanno versato contributi estorsivi alla mia famiglia e a quella di mio zio Giuseppe ora deceduto. Per un villaggio turistico si pagava una quota pari a circa 25mila  euro annui, mentre per un altro 10mila. Tale situazione è così dagli anni ‘80 e posso dirvi che i ratei estorsivi il proprietario dei villaggi li ha consegnati a volte anche a me e ai miei cugini Albano e Leonardo Mannolo”. Rispetto ad un terzo villaggio, la vittima ha affermato di aver provveduto personalmente al pagamento della guardiania, quantificata in circa 5-6mila euro l’anno, consegnando il denaro direttamente nelle mani di Santino Caterisano: “nel periodo in cui io e la mia famiglia abbiamo gestito direttamente il villaggio, dal 2013 al 2018, ho provveduto personalmente a pagare l’estorsione ai Mannolo per il quieto vivere. Le quote annuali ammontavano a circa 5- 6mila euro, che, a secondo delle mie disponibilità, provvedevo a versare in un’unica soluzione o in più trance. I pagamenti, nel corso delle varie stagioni, li ho effettuati, di solito, nelle mani di Santino Caterisano”.

“Ho sempre pagato ai Mannolo anche se in ritardo”

Nel 2014, il titolare dei villaggi ha riferito del fattivo coinvolgimento in una vicenda estorsiva anche di Remo Mannolo e Fiore Zoffreo. “Mi recai nel luogo indicatomi e giunto mi trovai di fronte entrambi, che con toni minacciosi mi intimarono di pagare la quota dovuta. Preciso infatti che non avevo pagato nel 2013, anche perché non era stata definita nel dettaglio la somma da dovuta. I due oltre a sollecitare i pagamenti, intendevano definire l’ammontare dell’estorsione. Mi chiesero 10mila euro con tono aggressivo. Io sebbene molto spaventato feci resistenza e dissi chiaramente che tale somma non ero in grado di pagarla. Avviai una specie di trattativa. Ero terrorizzato, ma fermo nel proposito di non pagare la cifra richiesta. Alla fine mi fu imposto il pagamento di una somma non inferiore ai 6mila euro da versare nel corso della stagione estiva. Mi sollecitarono il pagamento della quota 2013 che effettuai nei mesi seguenti consegnando il denaro, secondo gli accordi, a Santino Caterisano”.  Da quel momento in poi, sebbene con ritardo, l’imprenditore ha confessato di aver sempre pagato i soldi richiesti nelle mani di Santino Caterisano, uomo di fiducia del clan. “Io cercavo sempre di rinviare la consegna del denaro ma alla fine ho regolarmente pagato. Il denaro veniva consegnato o nel villaggio turistico a casa mia. Caterisano infatti se non riusciva a contattarmi veniva direttamente nella mia abitazione a prendere il denaro. Questa circostanza mi ha sempre allarmato”.

Apparenti discrasie tra i narrati del pentito e della vittima

Un episodio questo successivamente confermato dal collaboratore di giustizia Dante Mannolo, seppur in termini solo parzialmente coincidenti con il narrato della persona offesa. Il pentito infatti ha riferito di ulteriori pretese estorsive avanzate nei confronti della vittima da parte dei suoi cugini, Albano e Leonardo Mannolo (figli di Giuseppe Mannolo, fratello di Alfonso), precisando rispetto al narrato della vittima che: “Mio cognato Caterisano ha sì lavorato nel villaggio un paio di anni grazie a mio padre, Alfonso Mannolo, ma solo perché in quel periodo era rimasto disoccupato. Per quanto mi risulta non ha mai preso denaro a titolo estorsivo dall’imprenditore anche se non posso escludere che abbia potuto veicolare “imbasciate” tra mio padre e la parte offesa. Ribadisco che Santino Caterisano non è battezzato ed è stato sempre tenuto allo scuro e lontano dagli affari criminali della nostra famiglia. Ultimamente lo avevamo assunto con mia moglie quale manutentore delle macchinette del caffè. Escludo che mio fratello Remo Mannolo e Fiore Zoffreo siano autori di fatti intimidatori e danneggiamenti, in quanto con l’imprenditore c’è un’amicizia trentennale con la nostra famiglia. Lui pagava regolarmente e non ha mai avuto problemi con i membri della nostra famiglia se non con i miei cugini Albano e Leonardo i quali, sono soggetti facinorosi e arroganti tanto che le quote estorsive destinate alla famiglia di mio zio Giuseppe, l’imprenditore le dava a me per non darle direttamente ai miei cugini”.  Per il gip sussistono gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Alfonso e Remo Mannolo, Zoffreo e Caterisano: “le dichiarazioni della parte offesa, già di per sé sole sufficienti a sorreggere il giudizio di gravità indiziaria, poiché soggettivamente genuine ed oggettivamente credibili. Non possono assumere rilievo le oggettive discrasie tra la ricostruzione della vicenda operata dalla persona offesa e quella effettuata dal collaboratore di giustizia Dante Mannolo”.

“L’ imprenditore temeva di denunciare alcune estorsioni”

Per il giudice firmatario dell’ordinanza se si analizza il narrato del pentito, Dante Mannolo ha confermato senza ombra di dubbio l’esistenza di pretese estorsive avanzate nei confronti dell’imprenditore e l’ulteriore coinvolgimento di Albano e Leonardo Mannolo nella vicenda estorsiva, riferito dal collaboratore e taciuto dalla vittima “può essere verosimilmente spiegato in ragione della circostanza che quei due ulteriori soggetti sono tuttora in stato di libertà, e le remore da parte della vittima a riferire sul loro conto”, si spiegano con il timore di possibili ritorsioni. Dante Mannolo non ha escluso espressamente il coinvolgimento nella vicenda di Zoffreo  e Mannolo Remo, limitandosi prudenzialmente ad affermare di non esserne a conoscenza, dichiarando, però di non poter escludere che, a sua insaputa, loro fossero stati inviati su ordine di Alfonso Mannolo”.

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