Jonica, le estorsioni del clan Mannolo nel Catanzarese: la Dda chiede 12 condanne (NOMI)

La Dda di Catanzaro ha invocato la pena più alta nei confronti di Alfonso Mannolo, considerato "il dominus"

Ha ricostruito gli atti di una indagine, che ricomprende l’Alto Ionio Catanzarese e il basso Crotonese, riferendo di una nuova “provincia”, costituita da varie ‘ndrine Sanleonardesi, componenti la locale che si spartisce il territorio per riscuotere i soldi delle estorsioni. Da località Barco Vercillo del Comune di Cutro, sino a San Vincenzo di Sellia Marina (provincia di Catanzaro), in un tratto di costa di circa quaranta chilometri, a ciascuna famiglia sarebbe stato affidato un determinato villaggio o complesso turistico da cui ricavare illecitamente introiti estorsivi. Al termine della requisitoria il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio ha chiesto pene comprese tra i 14 e i 2 anni di reclusione per  i 12 imputati, giudicati con rito abbreviato, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, “Jonica”, che ha portato a maggio dell’anno scorso a dieci misure cautelari vergate dal gip del Tribunale di Catanzaro Matteo Ferrante, disponendo inoltre, all’epoca dei fatti l’esecuzione di un decreto di sequestro per due milioni di euro tra beni mobili ed immobili  (LEGGI QUI).  La pena più alta è stata chiesta nei confronti di Alfonso Mannolo, considerato dalla Dda il dominus, “un uomo, secondo il gip firmatario dell’ordinanza, con un’indole delinquenziale fuori dal comune in ragione della sua figura di vertice all’interno della ‘ndrangheta, dei suoi collegamenti con ambienti criminali di matrice mafiosa e dei metodi dallo stesso utilizzati, elementi, questi, che denotano un’esistenza dedita al crimine. Grazie al suo radicamento criminale in quel territorio, per oltre quarant’anni, forte della sostanziale impunità conseguita sino al suo arresto, avvenuto solo nel 2019, ha contaminato criminalmente ogni aspetto della vita sociale ed economica dei territori da lui controllati”.

Le richiesta di pena formulate dalla Dda

Le richiesta di pena formulate dalla Dda

In particolare il pubblico ministero ha invocato per Santino Caterisano, di Cutro, 7 anni e 1500 euro di multa;  Albano Mannolo, di Cutro, 6 anni, 6 mesi e mille euro di multa; Alfonso Mannolo, di Cutro, 14 anni e 3mila euro di multa; Antonio Mannolo, di Cutro, 10 anni e 2mila euro di multa; Carmelina Mannolo, di Cutro 3 anni e 2.500 euro di multa; il collaboratore di giustizia Dante Mannolo, di Cutro, 3 anni e 2mila euro di multa ; Leonardo Mannolo, di Crotone, 6 anni, 6 mesi e mille euro di multa; Remo Mannolo, di Cutro, 8 anni e 1.500 euro di multa; Vincenzo Mercurio, di Catanzaro, 4 anni, 6 mesi e 2mila euro di multa; Carmine Ranieri, di Cutro, 7 anni, 6 mesi  e 3mila euro di multa; Giuseppe Trapasso, di Cutro, 7 anni, 6 mesi e 2mila euro di multa; Fiore Zoffreo, di Cutro, 10 anni e 3mila euro di multa.  L’udienza è stata aggiornata per l’inizio delle arringhe difensive degli avvocati Gregorio Viscomi, Paolo Carnuccio, Antonietta De Nicolò Gigliotti, Luigi Falcone, Piero Mancuso, Salvatore Iannone, Aldo Truncè, devono difendersi a vario titolo dalle accuse di estorsione, usura, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravati dalle modalità mafiose. Nello stessa inchiesta sono già stati rinviati a giudizio Salvatore Giannotti, 83 anni di Cropani e Felice Falcone, 70 anni di Cutro e per loro è in corso il processo dibattimentale davanti ai giudici del Tribunale di Crotone.

Le estorsioni e le minacce di morte

E’ lungo l’elenco delle estorsioni riportate nel provvedimento per costringere imprenditori e titolari di strutture turistiche a pagare le tangenti e bastava proferire il nome della locale di Cutro per ottenere una barca di soldi. Dalle escussioni degli imprenditori vessati è venuto fuori un progetto per ottenere danaro, avvalendosi dello strumento delle minacce, di portata più vasta rispetto a quanto registrato nell’ambito dell’inchiesta “Malapianta” stringendo in una morsa, tutte le strutture del litorale ionico soggiogate alla locale di San Leonardo di Cutro. La sottomissione dei villaggi e dell’intero indotto costituito dai fornitori di beni e servizi rappresenterebbe un piano delinquenziale condiviso dalle consorterie dei Mannolo, Trapasso, Falcone e Zoffreo.

I villaggi turistici nella morsa della ‘Ndrangheta

Alfonso Mannolo insieme al figlio Dante avrebbe minacciato di morte il titolare di una ditta individuale, dedita a lavori edili, esecutore del contratto di appalto per la manutenzione del verde in un villaggio turistico, a consegnare loro  mille euro mensili dal febbraio 2017 al maggio 2017; 1.200 euro al mese dal giugno 2017 al dicembre 2017; altri 1.100 dal gennaio 2018 al mese di aprile 2019. Alfonso Mannolo, vertice apicale dell’omonima consorteria di ‘ndrangheta cutrese, avrebbe deciso la spartizione delle imposizioni estorsive, mentre Dante, aderendo alle strategie criminali della consorteria, avrebbe sollecitato le dazioni mensili di denaro, ricevendo le somme estorte in contanti. Stesso sistema messo in atto nei confronti di una ditta individuale esercente l’attività di  “Coltivazioni di cereali” e  “Altri servizi N.C.A.”, esigendo in contanti 800 euro mensili da gennaio 2001 al dicembre 2006 e 900 euro sempre ogni mese da gennaio 2007 a dicembre 2016. Fatti aggravati dall’essere stati commessi da persone appartenenti al sodalizio di ‘ndrangheta denominato locale di San Leonardo di Cutro, a cui assicuravano i proventi dell’attività estorsiva accrescendone la forza economica, il controllo del territorio e quindi la capacità operativa. Anche Felice Falcone e Fiore Zoffreo, avrebbero costretto un imprenditore, titolare di una società con sede a Catanzaro, a consegnare, proprie mani, una mazzette di ben 170mila euro dal 2001 al 2018, obbligato a dare a Zoffreo ulteriori 10mila euro anni, con bonifico bancario eseguito in pagamento di una fattura, emessa a fronte di lavori solo fittiziamente eseguiti dalla ditta individuale intestata allo stesso Zoffreo.

I prestiti con tassi di interesse usurai

Felice Falcone, referente della “omonima ndrina”, dal 2001 al 2018, direttamente nelle sue  mani, avrebbe ricevuto canoni estorsivi pari a 13 mila euro annui per un totale complessivo di 234mila  euro e garantito un prestito a tassi di interesse vertiginosi, approfittando dello stato di bisogno di un imprenditore. La somma richiesta è stata corrisposta, nell’arco temporale intercorrente tra il 2002 ed il 2004 – mediante pagamenti in contanti.  Il prestito sarebbe stato dissimulato  con un contratto di associazione in partecipazione, accettato dal debitore a condizioni poste dal creditore a proprio vantaggio. In particolare, a fronte di un prestito di un importo pari a euro 51.645,68, erogato nel 2002, Falcone riceveva, interessi pari a 2.300 euro per 30 mensilità, quantificati in  69mila euro totali, oltre alla restituzione del capitale ammontante a 51.645,68 euro. Tre i villaggi turistici ubicati a Sellia Marina sotto il giogo estorsivo delle ‘ndrine ricomprese nella locale di San Leonardo di Cutro, secondo uno schema “divisionale” che avrebbe attribuito a diversi esponenti della famiglia Mannolo la “competenza” sui villaggi del litorale Jonico. Una vicenda ricostruita attraverso le dichiarazioni di un imprenditore, il quale, a partire dal 2002, era subentrato nella gestione di queste strutture ricettive di proprietà della famiglia. Il suo narrato ha consentito di accertare l’esistenza di continue estorsioni da parte degli esponenti della famiglia Mannolo, subite per oltre 15 anni e pagate annualmente sia dalla proprietà che dai conduttori per salvaguardare l’operatività delle strutture alberghiere, tenuti a versare un “pensiero”.

“Ho pagato le mazzette per non avere problemi”

Alfonso Mannolo, in base a quanto riferito dall’imprenditore, sarebbe stato assunto dalla sua famiglia sin dagli anni’70: “ ha svolto la mansione di guardiano per conto di mio fratello nelle strutture di famiglia. In ottica imprenditoriale ho sempre cercato di mantenere buoni rapporti con il territorio ed evitare problemi”. Pretese estorsive confermate anche dal collaboratore di giustizia Dante Mannolo, che ha parlato di un vero e proprio accordo di spartizione mafiosa tra i diversi rami dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta per dare a ciascuno una precisa fetta delle estorsioni sui villaggi: “ribadisco che per poter condurre i villaggi turistici, i proprietari di tali strutture hanno versato contributi estorsivi alla mia famiglia e a quella di mio zio Giuseppe ora deceduto. Per un villaggio turistico si pagava una quota pari a circa 25mila  euro annui, mentre per un altro 10mila. Tale situazione è così dagli anni ‘80 e posso dirvi che i ratei estorsivi il proprietario dei villaggi li ha consegnati a volte anche a me e ai miei cugini Albano e Leonardo Mannolo”. Rispetto ad un terzo villaggio, la vittima ha affermato di aver provveduto personalmente al pagamento della guardiania, quantificata in circa 5-6mila euro l’anno, consegnando il denaro direttamente nelle mani di Santino Caterisano: “nel periodo in cui io e la mia famiglia abbiamo gestito direttamente il villaggio, dal 2013 al 2018, ho provveduto personalmente a pagare l’estorsione ai Mannolo per il quieto vivere. Le quote annuali ammontavano a circa 5- 6mila euro, che, a secondo delle mie disponibilità, provvedevo a versare in un’unica soluzione o in più trance. I pagamenti, nel corso delle varie stagioni, li ho effettuati, di solito, nelle mani di Santino Caterisano”.

La casa del boss a titolo gratuito per ricevere le amanti

Avrebbe voluto a tutti i costi la disponibilità ad uso gratuito di un immobile ubicato a Botricello, lo stesso che in base a quanto documentato nell’operazione Malapianta, veniva utilizzato per incontrare alcune amanti. A partire dal 2015 fino al suo arresto, Alfonso Mannolo, capo dell’omonima locale di ‘ndrangheta, avrebbe sistematicamente preteso la consegna delle chiavi dell’appartamento, senza corrispondere un euro al proprietario, nemmeno a titolo di rimborso delle spese vive di gestione. A riferirlo agli inquirenti è lo stesso titolare dell’abitazione, aggiungendo che  avrebbe più volte cercato di persuadere bonariamente Mannolo a regolarizzare la situazione, quantomeno accollandosi le spese delle utenze, ma questo ultimo avrebbe sempre tergiversato, fino a quando, nell’estate del 2018, il proprietario oramai esasperato, si rifiuta di riconsegnare quelle chiavi.

“Bastardo come cazzo ti permetti a parlarmi così?”

Un rifiuto che avrebbe scatenato l’ira di Mannolo, “tu lo sai con chi stai parlando” (…) “bastardo e cornuto …come cazzo ti permetti a parlarmi cosi?I Io ti faccio ammazzare a te e a tutta la famiglia tua”. Affermazioni che avrebbero portato il proprietario dell’immobile ad uno stato di prostrazione tale da temere fortemente per la sua incolumità, cedendo le chiavi dell’appartamento, senza avere più il coraggio di opporre alcuna resistenza nei confronti di Mannolo, che fino al suo arresto, aveva continuato ad utilizzare a suo piacimento l’appartamento senza alcun corrispettivo.  La vittima spiega agli inquirenti di aver acquistato la casa  agli inizi degli anni duemila, un rudere poi ristrutturato. La sua intenzione sarebbe stata quella di fittarlo per ricavare un reddito aggiuntivo, ma nel 2015 viene contattato telefonicamente da un suo conoscente, che lo invita a raggiungerlo spiegandogli che una ragazza era intenzionata ad affittare l’immobile. “Riferii che l’appartamento era libero e pertanto fissammo un appuntamento. Arrivai lì e trovai effettivamente una ragazza  dell’est Europa in compagnia di un’altra persona che riconobbi immediatamente: Alfonso Mannolo. Stupito dalla presenza di quest’ultimo, rimasi perplesso. Senza indugio mi disse che l’appartamento serviva alla ragazza che definiva sua amica. Mi spiegò anche che doveva lavorare in un bar di Botricello. Per tale ragione mi chiese se potevo fittarle l’appartamento”. Concordarono verbalmente un prezzo di 150 euro mensili che avrebbe dovuto pagare la ragazza in quanto occupante l’immobile, stabilendo l’incontro effettivo per definire il contratto di fitto.

“Ma tu lo sai chi sono io?”

“Detto ciò, io non vidi mai un euro. A distanza di quindici giorni la ragazza ritornò da me e mi riconsegnò le chiavi giustificandosi che non poteva mantenere l’appartamento in quanto non aveva trovato lavoro. Trascorsa una settimana circa da tale evento, si presentò al mio cospetto Mannolo, il quale mi chiede nuovamente la disponibilità dell’appartamento. Mi disse che gli serviva in quanto doveva incontrare una donna e voleva rimanere in intimità. Cercai di dissuaderlo. Gli dissi che l’appartamento lo stavo per fittare e che avendo speso dei soldi intendevo metterlo a reddito. Si risenti palesemente. Già in quel primo incontro mi fece capire che non accettava rifiuto. In quella occasione non mi minacciò in modo esplicito ma fu perentorio sul fatto che gli avrei dovuto dare l’appartamento. La frase che usò fu ‘ma tu lo sai chi sono io’?

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