Killer catanzarese evaso dai domiciliari: la decisione della Corte di appello di Roma che fa discutere

L'evasione di Massimiliano Sestito è un caso nazionale: nonostante fosse stato condannato all'ergastolo era passato dal carcere ai domiciliari

di Gabriella Passariello- Dal governatore della Calabria Mario Occhiuto al leader della Lega Matteo Salvini, la domanda senza risposta che tuona in queste ore è sempre la stessa: come è stato possibile consentire gli arresti domiciliari in luogo del carcere all’ergastolano catanzarese Massimo Sestito, evaso dalla casa del padre nel Milanese, dove si trovava ristretto, dopo aver tagliato in due il braccialetto elettronico disposto dai giudici? Un caso nazionale quello del 52enne, considerato esponente della cosca Chiefari-Iozzo-Procopio, condannato per l’omicidio di Vincenzo Femia, 76enne ritenuto elemento di spicco della ‘ndrangheta reggina e rappresentante a Roma della famiglia Nirta e delle altre articolazioni criminali operanti sul territorio della Capitale, freddato il 24 gennaio 2013 lungo l’Ardeatina con undici colpi di pistola.

Il lungo iter giudiziario e la Cassazione ter attesa per domani

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Per questo omicidio, il killer è stato condannato all’ergastolo in primo e in secondo grado, poi l’annullamento della sentenza con rinvio della Suprema corte nel settembre 2018, mentre a maggio 2019 l’assoluzione nel processo di appello bis, a cui è seguito un nuovo annullamento della Cassazione e ancora l’ergastolo in appello nell’ottobre 2021. E domani è prevista la Cassazione ter. Uno dei suoi codifensori, l’avvocato Salvatore Staiano,  ha assunto la difesa (insieme al prestigioso avvocato del foro di Torino Antonio Foti), nonostante Sestito gli avesse detto che non aveva soldi per pagarlo. Un deja vu quello di Sestito, che ha la fama di essere un “sicario intelligente”: nell’agosto 2013 aveva già violato la semilibertà,  non rientrando nel carcere di Rebibbia. Era stato poi rintracciato sulla spiaggia di Palinuro un mese dopo. Per gli  investigatori, che gli stanno dando la caccia, non ci sono dubbi, la sua è una fuga pensata e studiata.

La richiesta del pg

Sestito era detenuto nel carcere di Terni per un’altra causa. Nel frattempo a maggio 2022 il sostituto procuratore generale di Roma chiedeva o il carcere “al fine di impedire la fuga dal territorio nazionale” o gli arresti domiciliari “mediante strumenti elettronici o altri strumenti tecnici, contestualmente al ritiro del passaporto e del divieto di espatrio dal territorio italiano” o in ultima battuta la misura cautelare dell’obbligo di dimora”, per l’omicidio Femia nei confronti di colui che insieme a Francesco Pizzata viene considerato l’esecutore materiale del fatto di sangue.

L’ omicidio pianificato di tipo mafioso e la decisione che fa discutere

E’ stata la Corte di appello ter di Roma, una volta depositata la sentenza, a disporre i domiciliari, che ha consentito a Sestito di lasciare la casa circondariale di Terni, con l’espressa previsione che il provvedimento sarebbe stato revocato, con contestuale applicazione della custodia inframuraria, se l’imputato non avesse acconsentito all’utilizzo del braccialetto elettronico. Ma è anche stata una decisione che ha consentito all’uomo di evadere ventiquattro ore fa, nonostante gli stessi giudici di secondo grado avessero scritto in sentenza, come riportato nelle conclusioni del pg: “che i protagonisti della vicenda, assassini e vittima, facevano parte di altrettanti gruppi delinquenziali. Si è trattato di un’azione delittuosa pianificata e realizzata in pochi minuti, con crudeltà violenta e determinazione, attraverso il ricorso ad un gruppo di fuoco, che aveva utilizzato armi micidiali, sparato numerosi colpi a distanza ravvicinata. L’obiettivo era stato quello di contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso, col duplice obiettivo di eliminare l’esponente del gruppo concorrente e al contempo di inviare un messaggio intimidatorio verso tutti coloro che avessero tentato di contrastare l’attività delinquenziale del gruppo emergente”. L’uomo ha anche incassato una condanna in appello a 30 anni per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Renato Lio, avvenuto la notte del 20 agosto del 1991 a Soverato e all’epoca dei fatti Massimiliano Sestito aveva 21 anni, quando fermato a un posto di blocco insieme a Vito e Nicola Grattà, i due fratelli, poi uccisi a Gagliato l’11 giugno 2010,  non esitò a sparare al cuore il carabiniere, per evitare la perquisizione dell’auto.

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