“La chiamano giustizia”. Il caso dell’ex sindaco Caterini, esempio di sistema inefficiente

'ndrangheta in emilia

di Damiana Riverso – “Mio padre è stato accusato e processato per aver fatto il suo dovere”.  Una storia assurda e paradossale quella di Giuseppe Caterini, ex sindaco di Laino Borgo, accusato ingiustamente di concussione e raccontata dal figlio Mario, professore ordinario di diritto penale all’Unical, nel libro di Morena Gallo “La chiamano giustizia” che verrà presentato venerdì 22 gennaio  in diretta streaming sul canale YouTube al link: https://tinyurl.com/lachiamanogiustizia. All’incontro saranno presenti Alessandro Barbaro, giornalista e scrittore, Antonio Bevere magistrato della Corte di Cassazione, Giovanni Fiandaca professore emerito di diritto penale all’università di Palermo, Sergio Moccia professore emerito di diritto penale all’Università Federico II di Napoli, Giorgio Spangher professore di diritto processuale penale all’università “Sapienza” di Roma e Luigi Stortoni professore di diritto penale nell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

“Mio padre – racconta il professor Caterini – una volta andato in pensione si è messo a disposizione della comunità ed è diventato sindaco. Durante il suo mandato si è trovato ad affrontare una vicenda di subappalto. È stato investito dalla misura cautelare degli arresti domiciliari (poi revocata) perché ritenuto colpevole di aver preteso e ottenuto dal titolare di una società che si era aggiudicata un appalto per l’illuminazione pubblica, la revoca del subappalto concesso dalla ditta per affidarla ad un’altra impresa. Ma le cose non sono andate così. Mio padre aveva tutto il diritto di revocare quel subappalto, ha fatto solo il suo dovere. I subappalti devono essere richiesti all’ente che ne fa riferimento, ma la ditta che ha vinto l’appalto non ha mai fatto la richiesta di un subappalto che deve essere fatta per legge, quindi di fatto mio padre ha fermato un illecito, ma paradossalmente è stato arrestato lui per ‘interruzione di reato”. La vicenda è assurda, paradossale, per un uomo di 70 anni, incensurato, che ha sempre fatto il proprio dovere, che è diventato sindaco per passione, che ha denunciato un’irregolarità nella sua amministrazione e si è trovato accusato di aver abusato della sua professione. I fatti risalgono al 2009, mio padre è venuto a mancare nel 2016 senza aver visto la fine del processo. Era malato durante gli anni del processo eppure si è sempre rifiutato di rimandare le udienze anche se ne aveva tutto il diritto. Abbiamo anche chiesto il rito abbreviato ma il giudice non ha accettato”.

La vicenda di Giuseppe Caterini potrebbe apparire un “piccolo fatto” avvenuto in un “piccolo paese” della Calabria. Ma non è così. Rappresenta lo specchio della magistratura italiana, non di tutta, ma fatti come questi sono sempre più frequenti e la risoluzione è spessa troppo lenta e macchinosa.

“Capisco – ha dichiarato ancora il professor Caterini – che questa vicenda può sembrare poco significativa ma non è affatto così. La storia di mio padre è esplicativa, rileva le tante storture tecniche e giuridiche che si presentano troppo spesso nei tribunali italiani. La presentazione del libro, le storie che vengono raccontate è anche un modo di parlare della separazione delle carriere, soprattutto nei piccoli tribunali dove ancora si fa confusione tra pm e giudice. Questo è anche sintomo di mancanza di una cultura, di non conoscenza dei principi basilari costituzionali”.

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