di Gabriella Passariello- Vago, generico, evasivo quando si tratta di fare nomi e cognomi di persone a lui vicine. Nicolino Grande Aracri, il falso pentito smascherato dalla Dda di Catanzaro, capo crimine dell’omonima famiglia del clan di Cutro nell’interrogatorio del 21 aprile scorso, come del resto in quello del giorno successivo, si muove su dichiarazioni che oscillano tra i non ricordo e i non so. Dimostra paradossalmente di conoscere poco o nulla degli affari della cosca in Emilia Romagna e nel Bresciano, ignora la consistenza del patrimonio e delle proprietà attuali della sua famiglia e anche se ammette di ricevere quote estorsive dai villaggi turistici del Crotonese, non è al corrente di chi materialmente consegni le tangenti ai componenti della sua famiglia. Dichiarazioni distoniche rispetto agli elementi oggettivi emersi sugli affari immobiliari di famiglia, (e non solo), censiti nelle maxi operazioni Aemilia e Kyterion. Da un lato le domande puntuali e precise fondate su dettagli intercettivi richiamati dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Domenico Guarascio e dall’altro le risposte evanescenti di Nicolino Grande Aracri, che in relazione ai suoi affari in Algeria dichiara di ignorare “chi li cura e chi non li cura” aggiungendo che questo non era l’unico affare grosso e che c’era anche quello a Le Castella, un investimento sì precedente “però mo c’ha un valore di 3-4 milioni di euro, 5 milioni di euro”. La Dda tenta di fare un censimento sull’impero di Grande Aracri, ma quello che avrebbe dovuto essere un pentito non si mostra affatto collaborativo.
” Duve l’haju fatti tutti ‘sti miliardi? I sordi su’ finiti”
” Duve l’haju fatti tutti ‘sti miliardi? I sordi su’ finiti”
Ammette che nel periodo di detenzione aveva nelle mani 500mila euro in contanti, frutto di attività illecite, ma quei soldi“ l’haju dati all’avvocati, l’haju utilizzati all’avvocati a destra e a sinistra (per le spese legali ndr). I sordi sono finiti, è normale che sono finiti, perché nta ott’anni su’ finiti i sordi!”. E alla domanda sull’esistenza di attività economiche intestate, come pasticcerie, bar, ristoranti, Grande Aracri parla del villaggio turistico Serenè di Cutro “nui diciamo c’avevamo il 5% di quota ntu Serenè e fino a quando c’ero io fuori, fruttava”. Ma non sa riferire chi sia il nome del terminale che portava i soldi: “Allora, diciamo, io praticamente all’epoca quando c’era a lira, me portavano 40milioni di vecchie lire all’anno. Fino a quando c’ero io fuori, m’i portavanu, come no! (…)” e il fatto che nel 2006 fosse capo provincia “non significa che ti pìi i sordi e tutta a provincia”. La Dda tenta ancora una volta di capire come veniva diversificato il patrimonio della cosca e il boss di Cutro nelle sue risposte è disarmante per le sue contraddizioni continue: “Alla fine mettiamo io dùve l’haju fatti tutti ‘sti miliardi di euro che era carceratu?!”, anche se non disconosce che le attività illecite si siano protratte quando si trovava dietro le sbarre: “Ma scusatemi na pocu, no? Io i proventi solu d’a zona industriale, no? …pensate no? …pensate che la zona industriale mi dovevo rientrare 150mila euro ogni misa, sulu d’a Marcigaglia e dei 150mila euro ogni misa, anziché m’u trasìvanu a mmia, sono trasuti ad altri”.
“Affari in Emilia? Non so cosa ha combinato la mia famiglia”
Il falso pentito riferisce, inoltre, di non conoscere nemmeno gli investimenti dei suoi fratelli in Emilia Romagna, negando di avervi mai investito personalmente proventi illeciti. “Io in Emilia non ho mai investito. Praticamente in Emilia c’era una ‘ndrina distaccata che facìa parte i Cutro, però se la vedìanu… s’a vedìano loro”, nonostante in quelle zone ci fossero i suoi fratelli: “Se io, se io vi devo parlare di mio fratello, no? … in Emilia Romagna, io non so quello che loro hanno combinato in Emilia Romagna. Io in Emilia Romagna non ho investito niente, personalmente”. La Dda richiama tutto un carteggio di intercettazioni dove sostanzialmente si parla di una serie di possibilità economiche, di investimenti societari, degli affari delle slot machine della cosca: “Sì, sì, ma io me l’haju venduti poi i slot machine. Io sto parlando quando ero all’arresti domiciliari, già nel 2000 già avevo venduto tutto io ste slot machine. Allora, mio cognato ultimamente non lavorava più con macchinette e slot machine, ma lavorava cu’i machinette d’i caffè. Che praticamente poi sono state trasformate con macchinette di slot machine, però mio cognato ha lavorato cu’i machinette, ma prima, però non mo. Io in Emilia Romagna non ho investito nulla. So invece che non sulu Romolo Villirillo, anche altri hanno investito, però alla fine mettiamo si pensava che avevo investito io cu’i sordi mia, in realtà non erano sordi mia”.
Grande Aracri toglie la maschera: “La farsa è finita”
Per la Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha valutato la personalità del boss, le sue condizioni socio-familiari e il suo pregresso delinquenziale, Nicolino Grande Aracri non è credibile ed è emblematica in questo senso l’espressione contenuta in una lettera che mano di gomma ha scritto ai familiari dopo gli interrogatori del 21 e del 22 aprile, “debitamente trattenuta in virtù del particolare stato di detenzione in cui si trova”. Una frase, che contiene finalmente una verità: “La farsa è finita”.
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