La folle crisi di Ferragosto. L’analisi di Agazio Loiero

Nessuno è riuscito a capire perché Salvini abbia tolto in pieno agosto la fiducia a un governo che dava l’impressione di padroneggiare. Un gesto probabilmente causato da un accumulo di potere che in genere, se non temperato dalla consapevolezza della sua fugacità, produce una dannosa onnipotenza. L’idea del complotto europeo, che lo avrebbe ingiustamente detronizzato, appare privo di logica, visto che a dichiarare la crisi è stato in prima persona lui. Ciò non di meno una grande parte dei social condivide lo sfogo di Salvini. Nella Lega, realisticamente più attenta “ai schei”, invece si va sempre più diffondendo l’impressione del grande errore tattico compiuto dal proprio segretario e delle conseguenze che potranno esserci di qui a breve sul piano del consenso.
Comunque, caduto il governo, se ne sta costituendo un altro. Andare a votare, come avrebbe preteso la Destra, dopo meno di un anno e mezzo, nella situazione in cui versa l’Italia, sarebbe stata una follia. Resta un fatto. Se Conte riuscirà a comporre il complesso mosaico del governo, gli italiani assisteranno a una navigazione tra le più difficili della storia della Repubblica. Si registreranno conflitti, uno via l’altro, su ogni punto dell’agenda concordata. L’abilità politica ormai riconosciuta da più parti al Presidente incaricato – questo giornale gliene ha dato atto ben prima che la crisi deflagrasse – l’elementare saggezza di Zingaretti saranno messe a dura prova. Se infatti per un incidente di percorso l’esperienza giallorossa dovesse tra qualche tempo interrompersi il conseguente sbocco elettorale darebbe risultati catastrofici sia al M5S sia al Pd. Salvini risalirebbe nei sondaggi imperversando insopportabilmente con i rosari avuti in dono dai suoi tifosi in giro per questa nostra povera Italia, dove anche la fede, il più riposto dei sentimenti, agitata negli ultimi tempi sui social, ha ormai perso la sua aura di discrezione e di silenzio. Una breve digressione. Molti anni fa Sturzo ad alcuni clericali che esibivano troppo spesso con platealità il Vangelo, facendosene scudo, inviò alla fine di un suo discorso un invito perentorio: “E per quanto riguarda il Vangelo di Gesù vi esorto a tenerlo nel cuore”. Oggi una frase simile neanche il Papa potrebbe rivolgerla al segretario della Lega. Sarebbe sommerso di dileggi sui social.
Comunque, caduto il governo, se ne sta costituendo un altro. Andare a votare, come avrebbe preteso la Destra, dopo meno di un anno e mezzo, nella situazione in cui versa l’Italia, sarebbe stata una follia. Resta un fatto. Se Conte riuscirà a comporre il complesso mosaico del governo, gli italiani assisteranno a una navigazione tra le più difficili della storia della Repubblica. Si registreranno conflitti, uno via l’altro, su ogni punto dell’agenda concordata. L’abilità politica ormai riconosciuta da più parti al Presidente incaricato – questo giornale gliene ha dato atto ben prima che la crisi deflagrasse – l’elementare saggezza di Zingaretti saranno messe a dura prova. Se infatti per un incidente di percorso l’esperienza giallorossa dovesse tra qualche tempo interrompersi il conseguente sbocco elettorale darebbe risultati catastrofici sia al M5S sia al Pd. Salvini risalirebbe nei sondaggi imperversando insopportabilmente con i rosari avuti in dono dai suoi tifosi in giro per questa nostra povera Italia, dove anche la fede, il più riposto dei sentimenti, agitata negli ultimi tempi sui social, ha ormai perso la sua aura di discrezione e di silenzio. Una breve digressione. Molti anni fa Sturzo ad alcuni clericali che esibivano troppo spesso con platealità il Vangelo, facendosene scudo, inviò alla fine di un suo discorso un invito perentorio: “E per quanto riguarda il Vangelo di Gesù vi esorto a tenerlo nel cuore”. Oggi una frase simile neanche il Papa potrebbe rivolgerla al segretario della Lega. Sarebbe sommerso di dileggi sui social.
Torniamo al governo che sta per nascere. La famosa “svolta” di Zingaretti dovrebbe essere contrassegnata, oltre che da uomini, da scelte tematiche di qualità – un po’ di Sud in più nell’agenda dell’esecutivo non guasterebbe – e anche da una dote che in genere la politica sottovaluta: la pazienza. Il M5S, con cui il Pd dovrà percorrere un lungo tratto di strada, sarà attraversato da umori incongrui e da una grande carica di frustrazione derivante da anni di polemiche ruggenti che in un movimento giovane lasciano il segno. E’ vero che un’ipotesi elettorale danneggerebbe più il movimento di Grillo che lo stesso Pd ma il primo è potrebbe essere attraversato da quel delirio d’impotenza che produce lo stesso effetto del delirio d’onnipotenza che, come accennato sopra, ha attraversato all’inizio di agosto la complessa psicologia di Salvini. Zingaretti, non avrà il fascino oratorio di Obama, ma, una volta apertasi ufficialmente la crisi, ha svolto, almeno fino a oggi, un buon lavoro. Ha attinto nella sua esperienza di politico e soprattutto di amministratore regionale tesori di analogie e di rimandi. Con Conte l’intesa su pochi punti fermi dovrebbe risultare alla fine salda. L’Europa prima di tutto, su cui anche grazie alla capacità tattica del Presidente incaricato si è già ottenuto un risultato, impensabile solo un anno fa. Mi riferisco alla convergenza sul voto a favore di Ursula Von der Leyen. Un’operazione che non mancherà di sprigionare i suoi benefici effetti sul governo che nasce. Un’ultima annotazione. Fossi Zingaretti non m’impiccherei sull’estetica negativa del doppio vicepremier. Anche se Di Maio è stato spesso sgradevole nei confronti del Pd, lasciarlo frustrato, con la qualifica di capo politico e l’aureola della vittima, fuori dal governo potrebbe procurare danni alla fragile alleanza. L’assegnazione al Pd di un sottosegretario alla Presidenza, munito di poteri e deleghe, avrebbe un peso maggiore di quello di un vice. A tenere in vita l’equilibrio del vertice di governo ci penserebbe il Conte che negli ultimi tempi è andato in scena.

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