di Antonio Battaglia – Ha deciso di dire ‘basta’ ai ricatti, alle estorsioni e alla protervia con cui la ‘ndrangheta, da anni, soffocava la sua azienda di movimento terra ubicata a Palmi, nel Reggino. Gaetano Saffioti, imprenditore e testimone di giustizia, vive sotto scorta dal lontano 2002, quando, di fatto, la sua vita è cambiata radicalmente. Lui, però, non si è abbattuto, anzi: pur avendo perso commesse, dipendenti e amici, decide comunque di restare in Calabria, la terra che lo ha cresciuto e fatto diventare un simbolo della lotta contro la ‘ndrangheta. Saffioti è stato ospite stamattina dell’incontro conclusivo del Magna Graecia Experience, il nuovo progetto divulgativo e formativo sui mestieri del cinema ideato da Alessandro e Gianvito Casadonte . Un incontro preceduto dalla proiezione del film-documentario “Se dicessimo la verità” di Giulia Minoli ed Emanuela Giordano che ha poi alimentato il dibattito.
Il coraggio di denunciare
Il coraggio di denunciare
Dopo un breve collegamento telefonico la regista Giulia Minoli, Saffioti (presente nel documentario) si è rivolto ai tanti giovani presenti in sala facendoli riflettere sulla sua drammatica vicenda umana nei confronti della criminalità: “Tutto è iniziato quando avevo otto anni. Fui costretto a pagare il pizzo – afferma – e otto anni ce li hai una sola volta nella vita. Spinto dalla passione ho dato vita alla mia impresa, ma col crescere dell’attività aumentava anche l’attenzione della criminalità. Ho subito diversi attentati, quei soggetti stavano facendo morire le cose essenziali nella vita di un uomo: la passione e l’entusiasmo. Trent’anni fa non c’era informazione, oggi ci sono tutti i mezzi per denunciare. E dopo le denunce la vita non solo continua, ma migliora”.
La vita sotto scorta
L’imprenditore esorta i ragazzi alla coscienza civica: “La vostra vita non dipende da quello che succederà domani, ma da come sapete reagire. Se c’è un problema – dice -, c’è conseguentemente anche una soluzione. La paura di essere emarginato o di perdere il lavoro dopo una denuncia viene vinta da una paura ancora più forte: quella di vivere con il rimorso di non aver fatto niente per cambiare le cose”. Saffioti è noto anche per aver rifiutato gli aiuti economici statali per i testimoni di giustizia: “La scorta è una misura necessaria, ma un collaboratore di giustizia non deve essere un peso nella società. Devo vivere del mio lavoro consapevole che posso farcela. Se sono liberi, questi soldi possono andare da un’altra parte”.
Con l’occasione, l’imprenditore racconta i suoi ultimi trent’anni di vita sotto scorta: “Nella vita si ha il potere di scegliere, non bisogna essere obbligati in nulla. Vivo da trent’anni sotto scorta, ma ritengo di essere un uomo libero. La libertà non è in ciò che si fa, ma in quello che si fa. Certamente non si può improvvisare nulla, ma si deve pianificare la vita. I primi anni sono stati difficili anche per mancanza di informazione sulla lotta alla ‘ndrangheta, ma ora le cose stanno cambiando. Basti pensare che la mia azienda aveva perso il 90% del fatturato, mentre adesso lo ha trentuplicato”. Saffioti è anche l’esempio della Calabria che può fare bene: “Ho inventato dei prodotti che in Italia nemmeno si conoscono. Ho ricevuto tante gratificazioni dai miei partner esterni- conclude -, ma è triste far crescere i Paesi esteri e non la nostra nazione”.