Imperium

La fuga del boss Luni Mancuso in Argentina e i retroscena nelle rivelazioni del pentito Megna

Dai centomila euro portati con sé dall'Ingegnere durante il periodo di latitanza al supporto fornitogli dal padre del pentito

Lo beccarono dopo un periodo di latitanza dall’altro capo del mondo: al confine tra l’Argentina e l’Uruguay. Con sé aveva una cospicua somma di denaro (nell’ordine delle 100mila euro). Il 12 settembre del 2014 Luni Mancuso, alias “L’ingegnere”, aveva finito di essere uccel di bosco (anche se qualche anno dopo si rese irreperibile per poi essere catturato in una sala giochi a Roma). E proprio del primo periodo di latitanza del presunto boss che lo aveva visto sottrarsi alla misura per il duplice tentato omicidio della zia Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo, e della successiva carcerazione in Argentina (prima della sua estradizione in Italia), parla il collaboratore di giustizia Pasquale Megna che delinea, nella vicenda, il ruolo ricoperto dal padre, Assunto Natale (destinatario del fermo nell’operazione Imperium), che in quei frangenti si sarebbe recato diverse volte nel paese sudamericano e che – tramite un soggetto vibonese di stanza lì – si sarebbe occupato di gestire sia la latitanza di Mancuso, che la successiva carcerazione ed infine la sua estradizione.

Il viaggio in Argentina

Il viaggio in Argentina

“Posso riferire che mio padre si è recato in Argentina sia prima dell’arresto che dopo l’arresto e l’estradizione di Pantaleone Mancuso, perché mio padre ha un amico che abita in Argentina e si chiama Fernando Saragò (non indagato, ndr), che è venuto a sua volta in Italia ed anche questa estate l’ha trascorsa qui. Ho saputo da Desi (la figlia del presunto boss, al tempo compagna di Megna, ndr), che quando lei e la madre Giovanna Del Vecchio sono andate in Argentina per un colloquio in carcere, dopo che Mancuso era stato arrestato, mio padre era lì con loro. ‘L’ingegnere’ aveva posto un divieto di incontro tra noi e suo figlio Emanuele, che nel 2018 sarebbe diventato il primo collaboratore di giustizia della famiglia di Limbadi… So che aveva un cugino in Argentina che si chiama Solano o Soldano (non indagato, ndr), comunque un suo parente e di lui, quando lo hanno rimesso in libertà, “l’ingegnere” ne parlava male, perché diceva che lo aveva abbandonato e che, se non era per mio padre, quando mi trovava in carcere, poteva pure morire. Ci raccontava che lì aveva preso una infezione e che se questo tizio fosse rientrato in Italia lo avrebbe messo in frullatore…”.

“Centomila euro portati con sé nel periodo di latitanza”

Il pentito riferisce inoltre del legame tra il genitore e il presunto boss raccontando che gli è stato molto vicino dopo il suo arresto in Argentina, “perché accompagnò in carcere la moglie e la figlia e credo inoltre che abbia anche effettuato dei colloqui in carcere con lui. In più, sempre mio padre, tramite un suo amico di nome Nando Saragò (non indagato, ndr), detto Nandino, faceva rientrare dall’Argentina in Italia la somma di circa 100.000 euro che “l’Ingegnere” aveva portato con sé nel periodo della sua latitanza. Non so dire a chi li avesse consegnati, ma so che Saragò fece la cortesia a mio padre – dopo l’arresto di Mancuso – di fare rientrare queste somme in Italia, portando tranches di 10.000 euro alla volta”.

“Qua in giro a tutti quanti arrestano”

Il fatto che Megna avesse dato origine ad una fitta e consolidata rete di appoggi e contatti in Argentina, veniva corroborato proprio dalle risultanze intercettive emerse a carico dello stesso; nello specifico, nel luglio 2018, a ridosso dell’inizio della collaborazione di  Emanuele Mancuso, Assunto Megna veniva intercettato in un dialogo intrattenuto con Francesco Rapisarda (dominus della società Cora S.r.l., società che conduceva all’epoca dei fatti il Villaggio Sayonara); i due interlocutori esprimevano il loro disappunto e la profonda preoccupazione a seguito delle dichiarazioni rese dal pentito; in tale contesto Megna ipotizzava un imponente blitz da parte delle forze dell’ordine, circostanza questa che induceva l’interlocutore a consigliargli una eventuale fuga in Argentina: “…Uhhhh…mamma mia…qua tutto…qua quanto prima non ci vedrete a nessuno… qua in giro a tutti quanti arrestano… Perché devono cercare riscontri, bordelli… ma tu perché non te ne vai… in Argentina? che è meglio?”; la risposta di Megna fu la seguente: “Ah… ed io non ho… non penso che arrivano ad arrestarmi…”. (f. p.)

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